A Milano sono stati festeggiati i primi 35 anni di teatro per il Verdi, un gioiellino un tempo fuori zona, ora in piena Isola, un quartiere milanese non lontano dalla Stazione Centrale di cui la speculazione edilizia si è appropriata, volendo trasformare la città in qualcosa di cui quel che si capisce lascia storditi e mai felici. Pure, fra mille difficoltà, la Compagnia non ha mai smesso di lavorare e realizzare degnissimi stagioni teatrali, anno dopo anno, producendo, insegnando e ospitando compagnie teatrali di altri luoghi, vicini e lontani.
Serata in Nero ha segnato l'apertura della stagione 2010-2011 e ha messo inscena pezzi di svariati spettacoli di figura, il cosiddetto 'Teatro Noir' molto noto all'estero e ben poco praticato da noi. Jolanda Cappi, una delle due magnifiche donne che accompagnano con la propria voce recitante il pubblico in un viaggio emozionante e magico, fatto di alberi che camminano, uova che si seghettano per scomporsi, ventagli accompagnati da ombrellini ruotanti che assumono l'aspetto di sogni, fino a strani ometti che si danno appuntamento su improbabili montagne dove si svolgerà la festa degli elfi, in platea si torna bambini a qualunque età e finalmente si sogna a occhi aperti.
Ho parlato con Jolanda per capire, dopo tanti anni, che succede al suo piccolo teatro e alla sua compagnia, formata tutta da donne di varie età. La Cappi ha costruito intere stagioni di spettacoli per bambini e ancora lo fa. Non c'è segreto per lei nella mente dei bimbi, riesce a parlare loro in modo diretto e immediato. Difatti anche con me non ha problemi.
Prima domanda: come mai non ci sono maschi, tra voi?
Il nostro è un lavoro faticoso, discontinuo, non permette di formarsi una famiglia. Abbiamo avuto persone brave, che ci hanno seguito e poi lasciati.
E le donne?
Le donne invece sono più forti.
Come si costruisce uno spettacolo in nero?
Noi abbiamo tratto brani da vari spettacoli, perciò è stato più facile. Quello dell’albero proviene dalle 'Favole di Anderson', con grande ricerca di materiali che è durata anni. Ogni spettacolo ha una scelta di materiali e di forme, come le sculture di Vincenzo Balena, pittore e scultore milanese qui di Milano. E' un nostro amico e lo abbiamo trascinato nelle nostre storie. Quando abbiamo dovuto affrontare il discorso, ‘Il tempo che non è più e non è ancora’ di Maurizio Cucchi...
Scusa, chi? L'artista?
Un poeta milanese, credo che diriga la Casa della Poesia di Milano. Noi lo abbiamo coinvolto alla fine degli anni ’80, il tempo in cui tante donne erano condannate coi loro compagni. Volevamo immaginare la storia di una donna in carcere che dialoga con Giovanna d’Arco, che pure aveva combattuto una battaglia e l’aveva persa. E lui l'ha scritta. Noi abbiamo lavorato con la poesia, la scultura, fil di ferro, espanso per il cavallo, la musica... tutto raccontava sul nero il racconto poetico con questi frammenti.
Quando avete iniziato e come si è sviluppato il vostro lavoro?
Noi avevamo cominciato con Tinin Mantegazza, nel ‘75. Da allora a oggi abbiamo continuato a cambiare, come il violinista di oggi in cui il corpo si scompone, e appaiono mani che vere che si muovono, c’è sempre qualcosa di nuovo. Il percorso inizia con 'Fly Butterfly' ma abbiamo dovuto rinunciare a continuare con 5 animatori, 5 attori, diventava sempre troppo costoso. Così è cominciato un percorso nuovo, quello del teatro di animazione su nero e abbiamo cominciato il teatro di poesia e di immagine pura, col discorso su Giovanna. Poi c’è stato ‘Pane blu’, che vuole essere un discorso sulla società dei consumi, che ci ha portate nel tempo a lavorare su forme e costumi di grandi artisti, come De Chirico, Magritte, Andy Worhol e ci sono forme che fanno riferimento alle arti visive, a una ricerca, come l’omino verde e l’uovo, protagonisti in scena.
Dite di esservi ispirate al Burraco. Che cos'è?
Ci sono due momenti, nel nostro lavoro: in nero e poi a vista, ovvero il lavoro con striscia di luce in cui si vede come vengono mossi gli oggetti. E poi esiste la tecnica del Burraco, che è uno dei più antichi teatri Giapponesi, del ‘400, che metteva assieme cantori, musicisti di strada e animatori in scena, tuttora in giro per il mondo. Ne ho visto uno a Torino poco tempo fa e il modo affascinante in cui raccontano storie è fantastico.
Fino a quando farete queste cose bellissime?
La verità è che, quando noi metteremo via tutti i nostri pezzi negli scatorloni e nei bauli, credo che sarà per sempre, perché da qui in poi dobbiamo cambiare passo. Abbiamo capito che dobbiamo trovare un modo più leggero di viaggiare anche all’estero, dove il teatro di figura è pari a quello della prosa, dove c’è abitudine a vedere tutto e ad amare tutto, anche se fatto con pupazzi. Noi, negli anni ’70 e ’80, siamo andati anche in sud America, oltre che Francia e Germania e da due anni, con 'If', andiamo a Mosca e ci chiedono spettacoli anche per San Pietroburgo.
Quindi, avete ancora un bel successo?
Sì, sì, ma in Italia il nostro lavoro è considerato un teatro dei bambini, mentre invece è semplicemente leggibile sia da grandi che piccoli e tutti si divertono, ognuno ha la sua lettura di un’immagine.
Concordo pienamente! Io ho sognato per mezz'ora, uscita dal Verdi, della festa con elfi e fate...
Voglio spiegarti la difficoltà che abbiamo e per cui la 'Serata n Nero' è iniziata con Fly: significa dare 2 o 3 anni di scuola e bisogna insegnare ai giovani che ci mettano tutta la tua passione, che è un modo di vivere. Invece ora c'è chi crede che, avendo fatto quattro sciocchezze magari in televisione, credono di poter fare qualsiasi cosa. Invece nel teatro di figura si cresce piano piano, bisogna lavorare e creare gli oggetti di figura, perfino mettendosi un cappuccio in testa, t'immagini? Per fortuna noi abbiamo ragazze che ormai lavorano con noi da sei anni.
Siete insegnate e fate lavorare, dico bene?
Noi insegnamo perché chi impara lavori con noi, perché non ci sono scuole: si vive come con le marionette, in una grande famiglia. Chi conosce il mestiere ti passa la sua esperienza, ecco come funziona.
Ma perché dici che che metterete i pupazzi nei bauli?
Noi chiuderemo tutto e ricominceremo da capo. E’ una storia nuova, non si butta via niente. Daniela, che fa Fly, tratta la sua bambola come fosse una figlia. Ci si affeziona, sai, anche alle maschere... Ma dovremo reinventarci. Il passo che faremo è che, per esempio, al Festival di Figura apriremo il passo a dei giovani che vengono da Brera e da altre parti. Noi vogliamo lavorare uscendo un attimo dal nero, usando nuovi mezzi visivi, magari con proiezioni, per avere uno spazio che cambia continuamente. Questo si può fare con artisti giovani e si può continuare anche un’animazione da mischiare ai danzatori, perché il corpo entra in rapporto all’oggetto e crea cose molto interessanti, per un’animazione a vista.
Allora ricordo che l'immaginifico Serata in Nero, al Teatro Verdi solo fino al 31 ottobre, è stato ideato da Jolanda Cappi, Giusy Colucci, Renata Coluccini, Daniela Dazzi, Silvio Oggioni, Franco Spadavecchia e vede in scena, visibili o invisibili, Daniela Dezza, Giusy Colucci, Luisa Casatta, Nadia Milani, Cristina Discacciati, Irene Dobrilla mentre le voci recitanti sono quelle di Jolanda , che coordina il tutto, assieme a Renata Coluccini.