Teatro

Walter Veltroni: "Passione politica e disinteresse possono convivere"

Walter Veltroni: "Passione politica e disinteresse possono convivere"

L’ex segretario del Pd Walter Veltronisi racconta con “Ciao”, l’incontro immaginato con suo padre Vittorio che non ha mai conosciuto, interpretato a teatro da Massimo Ghini.

"Ciao" è l’incontro, immaginato, tra un padre morto giovane negli anni Cinquanta, e un figlio ormai sessantenne, che lo ha sempre cercato. Il padre è Vittorio, il figlio Walter Veltroni. E’ la rappresentazione teatrale tratta dall’omonimo libro dell’ex segretario del Pd che arriva a Milano (al Teatro Franco Parenti dal 19 al 30 aprile) dopo il debutto a Firenze. Sul palco Massimo Ghini e Francesco Bonomo.
 

Walter Veltroni, con questo spettacolo il palco per lei diventa come uno specchio. Che effetto le fa “vedersi” in scena?
Molto emozionante perché in quella ora e mezza c’è tutto. A partire da un grande attore, Massimo Ghini, che fisicizza per la prima volta mio padre davanti ai miei occhi. E poi tutto ciò avviene con parole dolorosamente scritte da me che sulla scena hanno un impatto emotivo ancora più forte di quanto non sia la parola scritta.

Il trasferimento dal libro al teatro l’ha soddisfatta? 
Molto. Il regista Piero Maccarinelli ha fatto un ottimo lavoro. I due attori hanno dato corpo a quelle parole nel miglior modo possibile.

Solitamente un personaggio pubblico tende a difendere la sua vita privata come unico fortino impenetrabile della sua esistenza. Lei invece sta regalando al pubblico momenti molto privati. Come mai? 
Io l’ho fatto proprio quando ho smesso di essere un uomo pubblico, nel senso di avere ruoli, responsabilità e potere. Quando sono tornato a essere, diciamo, padrone del mio destino, mi sono sentito libero di raccontare anche cose che riguardano la mia vita personale. Prima non avrei potuto farlo, non sarebbe stato giusto e non l’ho fatto. Ora sì, ora è giusto.

All’ultima assemblea nazionale del Pd ha detto che il periodo attuale è senza dubbio il peggiore degli ultimi settant’anni. Ne è davvero convinto?
Dal Dopoguerra in poi è senza dubbio così. Il terrorismo in Italia è stato un attacco violento, ma in quel momento c’erano istituzioni forti, partiti forti, sindacati forti che sono stati in grado di reagire. C’era una società comunque in espansione, mentre oggi siamo nel cuore della più lunga recessione della storia del Novecento, siamo nel cuore della crisi delle istituzioni democratiche in tutto l’Occidente, siamo di fronte al riaffiorare di populismi di varia natura e forma, c’è uno stato d’animo inquieto dell’opinione pubblica. Per me questo è il momento più delicato dal Dopoguerra in poi.

Nonostante abbia lasciato la politica attiva da tempo, la base del Partito democratico sembra non averla dimenticata. Questo affetto lo percepisce anche a teatro? 
Lo sento molto, tra le tante persone che incontro e che mi dicono che hanno cominciato ad appassionarsi alla politica quando è nato il Partito democratico nel 2007. Forse anche per il fatto che quando ho deciso di non avere più ruoli e responsabilità, al tempo stesso non ho mai smesso di volere bene alla sinistra e al Partito democratico e ho sempre cercato di aiutarlo e non di creargli difficoltà. Forse questo fa capire che passione politica e disinteresse possono convivere

Lei è stato uomo delle istituzioni con una forte vocazione verso le politiche culturali. Dal suo punto di vista, come sta il teatro in Italia? 
Io vedo una grande vitalità. Certo, le condizioni strutturali sono difficili per tutto quello che sappiamo e per le tante contrazioni che ci sono state di spesa pubblica e privata, però dal punto di vista artistico vedo generazioni di autori e attori che crescono. Proprio la sua unicità, nel senso che il teatro, insieme alla musica dal vivo, è l’unica forma espressiva irriproducibile, lo rende ancora molto forte. Sempre più forte.