La voce di Bogart, il volto di Goodwin. Addio all’attore che, nel Riccardo III come in Nero Wolfe, ha saputo onorare l’arte e avvicinarla a tutti
È morto a Roma, assistito da moglie e figli, Paolo Ferrari. Aveva 89 anni ed era malato da tempo. Grande attore di teatro, per anni in ditta con Valeria Valeri, per il cinema ha lavorato con registi come Blasetti, Zeffirelli e Petri. È stato anche un famoso doppiatore. E un'icona della tv. Nato a Bruxelles il 26 febbraio 1929, con lui finisce un'era: quella di una bella Italia che non esiste più.
Chissà se, prima che il sipario si chiudesse sull’ultimo atto, gli è tornato in mente qualcosa della sua poliedrica carriera. Forse gli esordi, poco più che diciottenne, con la Compagnia del Piccolo di Giorgio Strehler, recitando Pirandello e Shakespeare. O magari gli impegni più recenti al cinema in “Manuale d’amore 3” o in serie televisive come “Notte prima degli esami '82”, sempre assolti con il consueto stile: discreto, misurato. Mai sopra le righe, ma che sa farsi ricordare.
Contenuti ora densi, ora lievi
Piace pensare che l’ultimo sorriso sia sbocciato pensando ad Archie Goodwin, che ha così efficacemente interpretato nello sceneggiato televisivo trasmesso dalla RAI tra il 1969 e il 1971: braccio destro tanto dell’investigatore (Nero Wolfe) quanto dell’artista (Tino Buazzelli). Molti attori di gran classe amano il teatro sopra ogni cosa: pochi, come lui, hanno saputo, in nome di questo amore, traghettarlo anche altrove.
Teneva per mano, senza sforzo apparente, contenuti ora densi, ora lievi, ma mai banali, indirizzandoli verso un pubblico più ampio ed eterogeneo: forse, per certi versi, più difficile. Onorando l’arte non solo nella forma, ma anche nello spirito.
Il dramma, l’ironia, lo stile
Paolo Ferrari ha lasciato un segno indelebile nella memoria perfino come uomo-Dash, dopo essere stato protagonista del celeberrimo spot televisivo. Chissà se ha indossato, anche partendo per l’ultimo viaggio, il consueto sorriso gentile. Forse all’orecchio hai sentito sussurrare la tua stessa ironica voce, prestata a Humphrey Bogart, nei panni di Philip Marlowe per la trasposizione cinematografica de “Il grande sonno” (tratto dall’omonimo romanzo di Raymond Chandler).
Le ruvide parole di commiato che Marlowe confidava a se stesso erano a conclusione di una brutta storia, senza lieto fine: “Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e ci se ne fotte di certe miserie. L'acqua putrida e il petrolio sono come il vento e l'aria per noi”.
La sua è invece la conclusione di un racconto fatato, in cui ha saputo farci giocare con le emozioni, raffigurare le tragedie e dipingere i sogni: ora si è abbandonato al grande sonno. E sono le molte sfide e soddisfazioni di una vita così piena ad accarezzarlo, come brezza.
Dormi bene, Paolo. Grazie, eclettico artista.