L'arte di dirigere un'orchestra, antica e moderna al tempo stesso, in un libro di Ivano Cavallini
Edito nel 1998 da Marsilio ma da tempo fuori catalogo, il prezioso saggio di Ivano Cavallini intitolato Il direttore d'orchestra (Genesi e storia di un'arte), rivede ora la luce grazie alle Edizioni Curci che lo rimettono in circolazione opportunamente rivisto ed aggiornato dall'autore, colmando così un'incresciosa lacuna.
Non esiste infatti oggi in Italia un testo altrettanto chiaro, esauriente e completo sull'evoluzione dell'arte direttoriale, pratica fondamentale tanto in ambito concertistico quanto in teatro. Un testo che, fra l'altro, già allora andava a sanare un vuoto creatosi dopo gli interventi sul tema di Adriano Lualdi e Andrea Della Corte, risalenti a ben cinquant'anni prima.
Un'evoluzione graduale, ma costante di un'arte
Di pari passo con l'evoluzione delle compagini orchestrali, sempre più numerose ed articolate, e del mutare delle esigenze teatrali, cambiavano i modi di guidare il complesso degli strumenti e delle voci. La direzione 'a due' del secolo XVIII, suddivisa tra maestro al cembalo e primo violino, vedeva prevalere nella pratica esecutiva a volte l'uno, a volte l'altro: loro compiti essenziali, dare gli attacchi, scandire il tempo, sorvegliare le dinamiche, tenere unite le sezioni, tenere ben collegati cantanti ed orchestra.
Non si chiedeva di più. Al primo spettava però, di norma, l'onere della concertazione: cioè della preparazione precedente all'esecuzione in pubblico, con apposite prove; fattore basilare se l'oggetto era un melodramma, un'opera buffa, un oratorio, dove intervenivano più voci ed un coro.
Un'arte che è anche scienza
A parte che certuni sogliono tutt'ora dirigere occasionalmente dal pianoforte - vedi Rudolf Buchbinder o Andràs Schiff - le cose nel tempo cambiarono, e non di poco. Prendendo corpo a partire dalla prima metà dell'Ottocento, esercitata anche da compositori come Weber, Spontini e Mendelssohn, e poi codificata da Berlioz e Wagner, pure eccellenti direttori; portata quindi a livelli sempre più alti dai talenti di Bülow, Nikisch, Mahler, e poi di Toscanini, Mengelberg, Furtwängler ed altri, l'arte della direzione - che è anche scienza, non scordiamolo – ha raggiunto una definitiva configurazione a cavallo fra Otto e Novecento, riunendo infine le due figure del maestro concertatore, primo preparatore dell'esecuzione, e del direttore vero e proprio, responsabile ultimo della stessa.
Perché ormai si pretendeva non solo il coordinamento ed il controllo dell'esecuzione musicale, offrendola diligentemente all'ascolto, ma pure un'opportuna 'interpretazione' della partitura collocata sul leggio, rendendone percepibili sia il disegno formale, sia le sfumature espressive, sia la collocazione storica e stilistica. E infondendovi ogni volta una nuova anima.
Una vita per la musicologia
Ivano Cavallini (Adria, 1952), già professore di Storia della musica al Conservatorio di Trieste e di Musicologia all'Università di Palermo, è autore di svariate pubblicazioni in campo musicale, con un occhio particolare al contesto geografico di Trieste, dell'Istria, della Dalmazia, nonché della Mitteleuropa in generale.
Con Il direttore d'orchestra, libro frutto di approfonditi studi sull'argomento, Cavallini abbraccia un campo un po' più vasto ed articolato, prendendo le mosse dall'affermazione graduale della figura direttoriale, sopra tutto a partire grosso modo dal classicismo di Haydn, Mozart, J. Quantz, C.P.E. Bach (estensori, quest'ultimi, di testi in materia).
Dapprima in qualche modo generica, o regolata da alterni pareri; quindi man mano sempre più precisata, ed infine affermata e consolidata, assumendo definitivamente quelle caratteristiche oggi universalmente riconosciute ai primi del Novecento, là dove si ferma la sua disamina. Le cose, in seguito, non sono radicalmente cambiate. Perciò, volendo approfondire l'intrigante argomento, e saperne di più, nulla di meglio che questo validissimo libro.
E la bacchetta da direttore?
La sottile bacchetta bianca, prerogativa del direttore d'orchestra – ma taluni preferiscono usare le sole mani, a volte estremamente espressive come quelle di Valerij Gergiev – emerge verso la metà dell'Ottocento, divenendone infine un tratto distintivo. Prima si usava l'archetto del violino, agitato o picchiato sul leggio, oppure una grande bacchetta di legno, od un lungo bastone da battere a terra - con esso Lully si procurò quella ferita al piede che lo portò alla morte - oppure agitare un rotolo di carta, facilmente visibile. Meno rumoroso senz'altro che battere il ritmo con due tavolette o con i piedi, usanza frequente nelle chiese. Quello che importa, è mantenere quanto meglio possibile il controllo della situazione.
Ivano Cavallini
Il direttore d'orchestra
Edizioni Curci
Pag. 301 - prezzo € 27,00