E' un'opera del secondo Seicento molto citata. Dopo la sua recente riapparizione a Roma e Pisa, “L'empio punito” di Alessandro Melani approda in nuova veste alle Innsbucker Festwochen der Alten Musik 2020.
L'empio punito di Alessandro Melani (1639-1703) era nota solo per essere stata la prima opera modellata su El burlador de Sevilla di Tirso de Molina - la prima, dunque, incentrata su quella che diverrà l'immortale figura di Don Giovanni – ma non per i suoi effettivi meriti. Questo perché più nessuno l'aveva sentita da tre secoli e mezzo, cioè dalla sua creazione a Palazzo Colonna in Roma, nel febbraio 1669.
Tornata in vita, si è dimostrata partitura vitalissima, colorita nello strumentale e satura di felici invenzioni melodiche. Forte poi di un libretto abilmente costruito dal talento eclettico di Filippo Acciaiuoli - la verseggiatura si deve invece a G.F. Apolloni - che ne fu pure scenografo e costumista, montando per l'élite papalina una sfarzosa festa teatrale carnevalesca dai pomposi apparati scenici. Che sia in grado di attrarre anche lo spettatore moderno, lo hanno dimostrato assai bene tanto le prime riprese moderne a cura di Christophe Rousset (2003/04), quanto le recentissime due dell'anno scorso, dirette da Alessandro Quarta a Roma e da Carlo Ipata a Pisa, nella nuova edizione critica di Luca Della Libera.
Dalla Città Eterna a Innsbruck
Eccola infine approdare alle Innsbrucker Festwochen 2020, spazio di riscoperta di tanti capolavori del passato. Con L'empio punito – ambientata in una Grecia classica tutta d'invenzione - siamo in una fase ancora largamente 'sperimentale' di quello che diverrà il melodramma settecentesco, progressivamente codificato a Roma da Scarlatti, a Venezia da Vivaldi ed Albinoni, a Napoli da Leo, Pergolesi e Vinci.
E' per questo che il trentenne Melani può procedere con libertà drammaturgica e franca inventiva, mettendo in campo di volta in volta ritmi compositi, spunti melodici di fresca inventiva, combinazioni strumentali sempre variate. Conferendo giusto calibro ad ognuno dei personaggi - alcuni comici, come in uso all'epoca - con arie e duetti ben diversificati, e preferendo l'impiego di agili ariosi rispetto alla rigidità dei recitativi secchi. Nel complesso, un titolo assolutamente meritevole di tornare in repertorio.
Produzione nelle mani di giovani talenti
I giovani interpreti che vediamo in scena sono usciti in gran parte dal Concorso Cesti che chiuse le Innsbrucker Festwochen 2019, avente per finalità la ricerca di voci per quest'opera. Scelte decisamente felici, perché alla Haus der Musik s'è visto un grande affiatamento, un'adesione stilistica adeguata, e si sono rivelate ben spiccate individualità.
Molti cantano en travesti: così il mezzosoprano Anna Hybiner è l'empio, dissoluto Acrimante - anticipazione di Don Giovanni – mentre il bassobaritono Lorenzo Barbieri il suo servo Bibi. I soprani Dioklea Hoxha e Theodora Raftis sono rispettivamente la dolce Ipomene e l'appassionata Atamira; il tenore Andrew Munn l'altezzoso Atrace; il mezzosoprano Nataliia Kukhar l'irruento Cloridoro. Il tenore Joel Williams impersona la focosa nutrice Delfa, il basso Juho Punkeri il saggio Tidemo, i bassi Ramiro Maturana e Rocco Lia coprono i ruoli di contorno.
Li accompagnava al concorso, un anno fa, la nostra Mariangiola Martello, che è tornata qui come concertatore e maestro al cembalo, pilotando con gesto sicuro la duttile Barockorchester Jung, composta di giovani e validissimi strumentisti.
Ci consegna una direzione dinamica, accurata e seducente, piena di teatralità e ricca di sentimento; e, per di più, costantemente attenta al lavoro dei giovani interpreti in scena. Tra l'altro, la clavicembalista/organista piemontese con quest'opera fa il suo debutto sulle scene teatrali. La promuoviamo a pieni voti.
Anche il lato visivo ha una netta impronta italiana. In una rappresentazione scenica pressoché normale – qui in Tirolo il Covid 19 ha fatto meno paura - i personaggi si muovono senza sosta, assecondando liberamente i vivaci spunti offerti dall'agile, spigliata e salace regia di Silvia Paoli, ricca di gradevoli spunti.
Come i tre amorini in abito tirolese, che muovono i fili - anche in senso letterale - della vicenda. La scena fissa – tre pareti lignee, a celare entrate ed uscite sono di Andrea Belli, i variegati e spiritosi costumi di Valeria Donata Bettella.
(Spettacolo visto il 24 agosto 2020 alla Haus der Musik di Innsbruck)