Musica

BOB DYLAN - OH MERCY ( 1989 )

BOB DYLAN - OH MERCY  ( 1989 )

Per Bob Dylan gli anni ’80 si stanno chiudendo nel peggiore dei modi: produzioni che vanno dal discreto al superfluo, apparizioni live al limite dell’ imbarazzo, vena compositiva quasi ridotta ai minimi termini. Normale quindi che l’ uscita di OH MERCY (1989) non abbia quella risonanza che in passato sarebbe stato normale dedicare alla produzione dell' artista. La “confezione” è essenziale: in copertina un murales scovato da Dylan stesso a New York, nella busta interna nessuna nota, nessun testo, solo i credits dei musicisti coinvolti, sul retro i titoli delle canzoni e una piccola foto di Dylan su sfondo nero presa da chissà quale sessione fotografica. Quasi a non voler distrarre l’ ascoltatore dai contenuti del disco.
All’ ascolto ci si accorge infatti che qualcosa sta cambiando. La musica è diversa da qualsiasi cosa fatta sinora da Dylan e i testi finalmente sono all’ altezza degli standard dylaniani.
Non è un disco perfetto ma fa tirare un sospiro di sollievo ai fans ormai stanchi e delusi. Il merito di questa “ rinascita” è da ascrivere a Daniel Lanois, già produttore di Peter Gabriel e degli U2, che faticosamente e a prezzo forti tensioni personali e lavorative, riesce ad imbrigliare ed a mettere a freno l’ ego di Dylan, obbligandolo finalmente a scrivere canzoni degne di tale nome. Non è un mistero che le session di Oh Mercy abbiano prodotto una quantità di outtakes e di alternate version sofferte ed estremamente interessanti (molte di queste sono state recuperate con i volumi delle “Bootleg series”, oltre ad essere apparse in versioni rimaneggiate molto meno intense, purtroppo, in album successivi).
Il risultato è un disco oscuro, dalle sonorità rarefatte, con chitarre che sembrano provenire da un altro tempo e un altro luogo. La stessa voce di Dylan, meno aspra e spigolosa, sembra giungere dall’ oltretomba a narrare storie e dolori interiori con una sincerità che non si ascoltava da tempo. Di fatto, Dylan riesce a toccare in un solo album tutti i temi che hanno contraddistinto l’intera sua carriera: sfiora la politica con Political World e con Everything Is Broken ma il tono non è più accusatorio o declamatorio come tanti anni prima. È quasi più un’ amara constatazione che i tempi sono cambiati ( e per nulla in meglio), quasi un arrendersi all’ evidenza dello sfascio verso cui si sta avviando la società e la politica. Si ritrovano accenni spirituali (Ring Them Bells e, in tono molto minore, in Where Teardrops Fall) fortunatamente depurati dal fervore quasi messianico che contraddistingueva il periodo religioso all' inizio degli anni ’80. Ma è il flusso di coscienza a farla da padrone in  canzoni come What Good Am I ? , Disease Of Conceit o What Was It You Wanted che, pur  tendendo ad appiattire musicalmente la seconda parte del disco, mantengono un livello di sincerità a volte spiazzante.
Sono altri però i capolavori del disco: The Man In The Long Black Coat e Most Of The Time, due canzoni che lasciano una sensazione quasi fisica di dolore e di assenza, tant' è l' intensità lirica e musicale che sprigionano.
La prima (che si dice dedicata a Johnny Cash ma le interpretazioni, come sempre nel caso di Dylan, rimangono senza conferme né smentite), si apre e si chiude su un frinire di grilli. L’ incedere della voce è quasi da cantilena, ipnotica mentre le chitarre e l’armonica, che sembrano davvero arrivare da una dimensione ultraterrena, conferiscono alla canzone una dimensione sospesa, notturna. Non si sono ancora quietati i grilli quando una chitarra eterea accompagna la voce di Dylan a svelare una delle più introspettive e belle canzoni che, a mio parere, abbia mai scritto. Ci sono canzoni che fanno male, all’ascolto, e da cui non si esce facilmente…queste due fanno parte di quella rara categoria. Chiude il disco, come un “...ed uscimmo a riveder le stelle” dal profondo della coscienza e dei sentimenti dylaniani, Shooting Star. Una semplice ( se di “semplice” si può parlare per una canzone di Dylan), dolcissima canzone per un amore ormai andato e perduto. Una lancinante armonica chiude la canzone, lasciando solo la notte a farci compagnia.
 

Ovviamente, dopo aver ricevuto tanti maltrattamenti, i fans non accorsero in massa all' acquisto e non furono molti critici che ne cantarono le lodi ma di fatto Oh Mercy resta uno dei punti più alti della discografia di Bob Dylan. Per una vera e propria rinascita però si dovette attendere l' uscita di Time Out Of Mind, otto anni dopo. Forse l' ultimo vero grande album di Dylan, prodotto, guarda caso, ancora da Daniel Lanois.