Gli EIT si presentano al pubblico col loro primo album auto prodotto, intitolato “Meccanismi” già annunciato il 27 e il 28 Novembre 2010 al Mei di Faenza. Nei due anni in cui Gabriele Grassi (chitarre e voce), Alessio Iardella (batteria e percussioni), Matteo Nerbi (tastiere), Gianluca Prezzemoli (basso e voce) e Simone Rossi (voce e chitarre) hanno avviato la loro collaborazione, il progetto sviluppato mettendo insieme idee e stile di ciascuno ha assunto man mano una forma, fino alla realizzazione di questo Cd, composto da 10 brani originali che navigano tra indie, pop e rock, sicuramente non privi di sfumature. E se nel periodo trascorso in studio questi ragazzi non si sono fatti conoscere molto in giro, c’è da dire che gli EIT hanno evidentemente preparato nel dettaglio il loro “debutto” in società: il fatto che sappiano “presentarsi” in maniera efficace è rimarcato, infatti, prima di tutto dalla scelta grafica della copertina, realizzata da Paolo Colaiocco che riproduce un’immagine dai colori magnetici e invita simbolicamente ad entrare in un mondo ignoto.
Da un primo ascolto di “Meccanismi” risulta evidente quanto il quintetto di Carrara sia figlio del suo tempo e si sia lasciato contaminare da tanta musica della nostra epoca: dentro vi ritroviamo l’influenza di artisti come gli U2, i Pink Floyd o spostandosi su esempi più attuali i Coldplay e rimanendo in territorio italiano, sentiamo affacciarsi qua e là nelle composizioni e nelle interpretazioni Ligabue, Afterhours, Marlene Kunz e Le Vibrazioni.
Ciò nonostante l’album non è privo di spunti originali e qualità proprie. L’entrata in scena è intelligentemente scelto come brano d’apertura ed è infatti uno dei più accattivanti; colpisce per la ricerca del bel suono e gli arrangiamenti curati, costruiti con riff di chitarre elettriche amplificate e batteria incalzante, per un effetto ipnotico, ossessivo e travolgente (riecheggia a tratti anche Lazy Days del primo periodo pop-rock di Robbie Williams). La voce del cantante non punta sulla potenza ma sul carattere malizioso e seducente delle interpretazioni e la timbrica particolarmente riconoscibile.
Un altro punto di forza di “Meccanismi” sono i testi, mai banali, criptici solo in parte, toccanti come in Nei tuoi silenzi, di denuncia come in L’odio, poetici come in Fragile; sembrano collocarsi a metà – proprio come le melodie – tra pop e rock. In Da te a me e Un arriere fantastico, invece, vengono ripresi e adattati i versi dei poeti Tiziano Toracica e Rina Centa.
Per te è un brano lento e romantico dominato da voce e pianoforte alle quali si aggiungono poco alla volta chitarra acustica, batteria e chitarra elettrica; procedono in modo simile anche Da te a me e La febbre che sale, brano strumentale affascinante, in un protrarsi di atmosfere “soffuse” e pensierose. Considerando che Seduttrice qualunquista è costruito sui toni drammatici di voce e piano, e Un arriere fantastico presenta una certa spinta emotiva e ritmica solo nel ritornello che spezza la delicatezza della linea melodica delle strofe, emerge, però, il punto debole dell’album che si adagia troppo a lungo su toni malinconici e sognanti, risultando ripetitivo e rischiando di annoiare.
Del resto questa scelta si ricollega anche al nome del gruppo: EIT è la trascrizione della pronuncia di “eight” dove il numero 8 viene preso in considerazione come simbolo dell’infinito, concetto caro al quintetto che vuole ricreare, appunto, proprio un senso di sospensione del tempo. L’obiettivo è sicuramente raggiunto.