Capita sempre più spesso, visto il boicottaggio non dichiarato ma tranquillamente messo in atto dal comune di Milano verso gli spazi che propongono musica dal vivo – vedi i casi di sequestri “preventivi” di locali storici come “Le Scimmie” sui Navigli, de “La Casa 139” oppure l’ imminente smantellamento del Palasharp, ex Palatrussardi ( senza peraltro aver prevista la costruzione di uno spazio che possa andare a sostituire il palazzetto abbattuto) - che, per trovare appuntamenti musicali di qualità fuori dal circuito mainstream, ci si debba rivolgere a serate o a festival “fuori porta”. Di questi, una delle più belle sorprese si è rivelato il Folk Meetings, rassegna ideata e organizzata dalla Geo Music di Gigi Bresciani con il Comune di Dalmine (Bg).
Caratterizzato da un programma breve ma vario ed interessante, Folk Meetings ha portato, venerdì 8 aprile, al teatro comunale di Dalmine un ospite - anzi, due! - di tutto rispetto: Elliott Murphy e Olivier Durand.
Songwriter di razza, Elliott è riuscito a smarcare, nel corso della sua quasi quarantennale carriera, l’ etichetta di “ nuovo Dylan” che ciclicamente viene affibbiata a chi affronta il mondo della musica armato solo della propria chitarra, del proprio talento e delle proprie parole. Abbandonati, ma solo per la parte italiana del tour, gli usuali compagni d’avventura dei Normandy All Star, Elliott Murphy arriva dalle nostre parti accompagnato dal fido Olivier per una serata che è valsa ogni istante di coda in tangenziale ed ogni chilometro dei quasi cento che mi separano da Dalmine.
La scaletta del concerto è stata abilmente in bilico fra vecchio e nuovo, alternando canzoni dall’ ultimo album, quasi tutte concentrate nella prima parte dello show, ad una carrellata di canzoni “storiche” che non hanno perso un grammo della loro potenza e che la dimensione live rende ancora più dirompenti o delicate a seconda del caso. Scorrono così, dopo l’ iniziale Gone Gone Gone, Take That Devil Out Of Me e You Don't Need To Be More Then Yourself, tutte tratte dall ultimo lavoro di studio ( Eliott Murphy – 2010), canzoni nuove ma che per nulla sfigurano al confronto con le più classiche Pneumonia Alley (questa sera dedicata alla madre) e A Touch Of Mercy. Ma è con l’attacco di chitarra tostissimo di Take Your Love Away, preceduto da Rain Rain Rain che già aveva provveduto a scaldare il numeroso ed entusiasta pubblico, che la serata ingrana la quarta. La lunga e tiratissima versione prepara il terreno ad una versione slow di You Never Know, piccola pausa lenta per riprendere fiato prima dell’ esplosione di Last Of The Rock Star. E’ sufficiente un cenno di Elliott e subito ci si lancia sotto il palco. Le chitarre on stage sono due ma la potenza che Elliott e Olivier scatenano è dirompente, Murphy di certo lo sa ed è per questo che finalmente permette al pubblico di dar sfogo all’ energia fino ad ora accumulata rimanendo fino a quel momento, a fatica, seduti.
Dopo aver “fuso” Last Of The Rock Star con Shout! ed aver scaldato ulteriormente gli animi con Come On Louanne, il rocker sfodera uno dei suoi capolavori, On Elvis Presley’s Birthday, e nel teatro non vola più una mosca ( a dire il vero qualche “moscone” urlante il proprio entusiasmo c’ è, comprensibile per carità ma cazzzz, ogni tanto non sarebbe male stare solo ad ascoltare! Fortunatamente, e come giusto che sia in questi casi, viene azzittito dal resto del pubblico), tutti a pendere dalla voce e dalla chitarra di Elliott. La parte “ ufficiale” della serata si chiude in crescendo fra la nuova Poise 'N Grace, Everything My Love Can Bring e la finale, energica, Diamonds By The Yard.
Giusto il tempo di un cambio maglietta e, con un look più piratesco, Elliott riguadagna il palco partendo all’arrembaggio di quel che resta della serata con Drive All Night a cui segue quel che è di certo il punto più intenso e “magico” di un concerto già di per sé perfetto. A bordo palco, lontano dai microfoni e ancor più vicino al pubblico, affiancato da Olivier Durand e a fil di voce, Elliott ci regala la outtakes dylaniana Blind Willie McTell, così bella e perfetta in questa veste che neppure Dylan stesso potrebbe renderla migliore, e l’altrettanto bella e intensa Green River, accompagnate entrambe nel ritornello da un coro spontaneo, sussurrato, del pubblico. Atmosfera incredibile.
Purtroppo si va davvero verso il finale e, spentesi le note della romantica ed acclamatissima Anastacia, per non lasciarci col cuore spezzato Elliott e Olivier ripartono a mille con Just A Story From America che già di suo come ritmo non è affatto male ma che diventa esplosiva quando si trasforma in Twist and Shout.
Si chiude, purtroppo… Elliott ed Olivier, dopo aver raccolto lunghi e meritatissimi applausi, scendono fra il pubblico che li assedia per strette di mano, complimenti ed autografi. Sarebbe bello restare fino all’ ultimo istante ma la strada, coi suoi 100 km ormai notturni ma fortunatamente senza più code “tangenzialesche”, chiama e quindi tocca andare…
Il prossimo appuntamento da non perdere con il Folk Meetings, che purtroppo sarà anche l’ ultimo per il 2011, è fissato per venerdì 15 aprile quando sul palco del teatro civico di Dalmine ci sarà Robyn Hitchcock.
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