Con la fine dell’estate giunge al termine anche la stagione degli eventi e dei grandi concerti all’aperto, mai come quest’anno sottoposti a restrizioni e controlli al fine di garantire la sicurezza. Ma è davvero la paura legata a possibili atti di terrorismo l’unico nemico della musica dal vivo?
I fatti sono sotto gli occhi di tutti: il recente attentato di Manchester – proprio durante un concerto – e, a casa nostra, soprattutto gli incidenti per falso allarme terroristico durante la proiezione di una partita di calcio in Piazza San Carlo a Torino, hanno riacceso l’attenzione sul problema della sicurezza durante i grandi eventi. Problema prontamente affrontato dal Viminale e dal dipartimento di Pubblica Sicurezza tramite un nuovo - e sulla carta, più efficace - regolamento “salva-musica”. Regolamento che prevede un forte aumento dei controlli, un incremento delle forze dell'ordine e dello staff, la chiusura al traffico di zone specifiche, l'installazione di barriere “New Jersey” e un discutibile aggiornamento della lista di oggetti vietati.
Ma chi ne paga, davvero, le spese?
Mala tempora currunt: tutti d’accordo sulle misure di sicurezza più specifiche, ma nel gran calderone del nuovo regolamento ci finisce un po’ di tutto, dal megaconcerto alla sagra di paese. A pagarne le spese – ovviamente anche in termini economici – sono principalmente le realtà più piccole e l’utente ultimo, ovvero il pubblico. Distinguendo infatti tra safety (responsabilità di Comune, vigili del fuoco, polizia municipale, prefettura e organizzatori) e security (compito esclusivo delle forze dell'ordine), se la manifestazione è a pagamento, la maggiorazione va a pesare sul costo complessivo del biglietto. Nel caso di evento gratuito l’incremento ricade invece sull’organizzatore e/o sul Comune, che in questi tempi di magra difficilmente riuscirà o vorrà sobbarcarsi l’onere connesso. All’orizzonte si profila così un panorama ben poco piacevole: eventi gratuiti ridotti ai minimi termini e biglietti per concerti a pagamento ancor più cari.
Piove sempre sul bagnato
A fronte di promoter che, già in prima fila nell’attacco frontale al secondary ticket, non rinnovano il contratto in esclusiva con Ticketone (Barley Arts di Claudio Trotta), permettendo di riflesso un risparmio anche per gli acquirenti, altri organizzatori non si fanno problemi nel trovare nuovi metodi per poter spillare qualche manciata di euro in più. Non più sufficienti il meet & greet (incontro a pagamento con l’artista), le tariffe vip sempre più inavvicinabili e il pit a pagamento (fino a poco tempo fa era sufficiente correre per aggiudicarsi i posti in transenna al concerto, ora per molti live se vuoi stare sotto al palco i posti li paghi cari e salati), la “scoperta” 2017 è stata il Token.
And the winner is…
Battezzato al festival I-Days di Monza a luglio e ora apparentemente accantonato per manifesta incapacità di gestione, il Token è un “gettone” che permette l’acquisto di bevande e generi di conforto vari all’interno dell’area del concerto. Peccato che la pratica, già in uso all’estero con ben altre e più serie metodologie, qui da noi diventa subito “all’italiana”. Durante il suddetto festival, il costo del singolo Token era di 3 euro, ma con obbligo di acquisto minimo di cinque pezzi, ovvero 15 euro, spendibili esclusivamente la sera stessa del concerto e senza rimborso in caso di credito residuo. Morale della favola: se per quella sera compro solo una bottiglietta d’acqua, spendo comunque 15 euro. L'organizzazione ringrazia.
In definitiva, se uniamo tutti questi puntini (regole più restrittive, costo spesso spropositato dei biglietti, secondary ticket, balzelli “aggiuntivi” e colpi di genio organizzativi, ecc.), siamo davvero sicuri che solo la paura possa essere la “colpevole unica” in grado di affossare la musica dal vivo?