Unicità, talento e sperimentazione. John De Leo torna dopo quasi sette anni di silenzio discografico. Il poliedrico musicista-cantante-compositore-autore, vero erede di Demetrio Stratos, pubblica un nuovo album di inediti il cui titolo è “Il Grande Abarasse” (Carosello Records). Si tratta di un concept album che tocca diversi generi musicali e nel quale l’ex Quintorigo si destreggia tra gorgheggi, ricerca letteraria e vocale, realizzando qualcosa di unico e speciale a livello artistico ed emozionale. Ecco cosa ci ha raccontato durante la presentazione dell’album al Teatro Arsenale di Milano.
John, perché hai impiegato così tanto tempo per realizzare un nuovo disco?
Mi stai chiedendo cosa ho fatto negli ultimi sette anni? Ho studiato e incontrato tanti musicisti e autori importanti, quelli che non si vedono spesso in tv. Veri modificatori di linguaggio, che hanno rispetto infinito per il pubblico e per l’arte. Insomma, non ho fatto niente! (ride, ndr).
Come è nato “Il Grande Abarasse”?
Da tanta sperimentazione. Ci sono gorgheggi ed evoluzione vocale che non sono fini a se stessi ma fanno parte di un determinato contesto musicale e sono accompagnati a parole ben precise. Mi interessa la vocalità quanto l’aspetto letterario e sonoro del pezzo. Nel disco c’è molta ricerca sugli strumenti, ho voluto esagerare, dato che me ne hanno dato l’opportunità. Ho coinvolto un gruppo di amici e di professionisti, ma anche l’Orchestra comunale di Bologna, che è l’ospite del ghost album. Dopo le tracce de Il Grande Abarasse, infatti, subentra l’orchestra mentre io quasi sparisco.
Chi ti ha dato lo spunto per il disco?
Tempo fa ho partecipato a un progetto-tributo a Nino Rota, compositore italiano famoso per aver musicato film di Federico Fellini. Molto interessante. Ho scoperto e studiato con artisti e musicisti, tra cui Fabrizio Tarroni, che ora fa parte del mio gruppo sul palco ma è anche co-autore nell’album.
Come definiresti il tuo nuovo album?
“Il Grande Abarasse” è un disco a suo modo pop, nel senso di popolare, almeno, lo è dal mio punto di vista. C’è apertura e conoscenza verso il cantautorato, solitamente considerato intoccabile. Io invece mi diverto a innestare altri generi musicali, a giocare, ad andare oltre.
Di quali generi musicali ti nutri?
Diversi generi: indie rock, jazz, classica ed elettronica, ma quella non fatta tramite un computer. Noi la emuliamo utilizzando macchinari in tempo reale. Tengo molto a precisare questa cosa.
E poi leggi molto.
Certamente! Divoro romanzi, saggistica, poesia. Anche gli incontri sono stati importanti per dare vita al disco. Le esperienze della vita mi hanno influenzato parecchio. Ecco, cerco di condensare tutto questo nel mio lavoro.
Ma “Il Grande Abarasse? Cosa significa?
Tutto quello che pensate significhi, è! Molto semplice. Ho delle mie ipotesi, senza presunzione. Il mio è un concept album, ambientato in un condominio. Ogni brano corrisponde a un appartamento e ai condomini che vi abitano. Il mood che li ricollega è un’esplosione, più o meno invadente. Ognuno di loro reagisce in un certo modo, soggettivamente, emotivamente.
Perché l’esplosione?
Nessuno lo sa. Cosa potrebbe essere successo? Ognuno dà una propria interpretazione. Corrisponde a una deflagrazione interiore, con la miccia già accesa da tempo. E’ un boom interiore.
Il condominio com’è?
E’ un piccolo agglomerato umano, una piccola società che ne rappresenta una più grande. Nel condominio come nella vita si litiga, ci si fa dispetti, non ci si tollera, ci si innamora.
Pensi già al tour?
Mi auguro di poter portare questo incredibile ensemble dal vivo in Italia. Di questi tempi è molto dura.
Cosa ti aspetti da questo disco? E dal pubblico?
Non mi aspetto niente. Cerco di fare onestamente il mio lavoro. Ti rispondo rubando una frase letta sulla didascalia di un quadro visto al Guggenheim di Venezia. Diceva: il rispetto per il pubblico non sta nell’accontentarlo.