Come per Bob Dylan, anche per Lou Reed gli anni ’80 furono a dir poco deleteri. Uscito da una “trilogia” di album (Legendary Hearts, - in verità parzialmente - New Sensations e Mistrial) che risultarono essere il punto più basso della propria carriera, Reed attraversò momenti personali e artistici molto difficili: la morte di Andy Warhol, suo pigmaglione dai tempi dei Velvet Underground, le sempre più frequenti crisi matrimoniali, le pessime accoglienze da parte di critica e pubblico e, non ultimi, i rapporti tesissimi con alcuni membri della tour band. E’ proprio la scomparsa di Warhol però, avvenuta due anni prima ma non ancora metabolizzata da Reed, a gettare le basi per una totale ricostruzione del proprio percorso artistico. Se la maggior parte dei testi degli ultimi album erano votati alla vacuità ed il suono rivelava un pericoloso avvicinamento al sound dell’epoca ( e quindi sintetizzatori e drum machine a spron battuto), in New York Reed elimina synth ed elettronica varia per lasciare spazio alla più classica delle formazioni rock: lead guitar, basso e batteria. Ma è nei testi che vi è la trasformazione più radicale: Reed approccia un differente metodo compositivo che molto ricorda quello di Dylan, personaggio per cui Lou ha sempre avuto grande rispetto fino quasi ad arrivare al timore reverenziale. Abbandonata l’introspezione (negli ultimi lavori divenuta troppo superficiale), Lou comincia a “guardarsi intorno”: il risultato è il suo album più “politico” e sociale, dove lo sguardo dell’ artista è spietatamente lucido e distaccato nel cogliere tutte le contraddizioni e il “marcio” di una città (e di un tempo) che tanto lo ha segnato artisticamente ed umanamente, che fatica a riconoscere ma che comunque continua ad amare. Le quattordici canzoni vennero incise nell' ordine in cui compaiono nel disco e Reed stesso, nelle note di copertina, consiglia di ascoltarle senza interruzioni come se si stesse guardando un film o leggendo un libro. Così, come in un film di Martin Scorsese, da una parte si passa a volo radente sulle miserie umane: sull’ AIDS e sulle perdite che quest’ ultimo ha provocato anche fra le amicizie di Lou (Halloween Parade), sull’ indifferenza (Xmas In February), sulla quotidiane violenze ed emarginazioni dei disadattati e degli ultimi ( Romeo Had Juliette, Endless Circle, Hold On ). Dall’ altra, e qui è quasi più dylaniano di Dylan stesso, si scaglia a colpi di chitarra elettrica sulle reali disparità sociali di quel tempo (ma tranquillamente anche del nostro; sono passati “solo” poco più di vent' anni dall’ album ma nulla, nulla, nulla è cambiato!). Vedono così la luce canzoni che davvero non fanno sconti a nessuno: There Is No Time è un richiamo rock all’ azione civile ( …Questo non è il momento di voltarsi e bere / o fumarsi qualche fiala di crack / questo è il momento di unire le forze / di darsi uno scopo preciso e attaccare… ), Last Great American Whale ( …agli americani non frega niente della bellezza / cagano nei fiumi / scaricano l’acido delle batterie nei ruscelli / guardano i ratti morti sbattuti sulla spiaggia /e si lamentano se non possono farsi il bagno… ) e Strawmen inchiodano al muro le false coscienze e la cultura dell’ apparenza, del futile diventato necessario ( …qualcuno ha forse bisogno / di un altro film da un milione di dollari? / qualcuno ha forse bisogno / di un’altra star da un milione di dollari? / qualcuno ha forse ancora bisogno / di un altro politicante / beccato coi calzoni calati / e i soldi ficcati su per il culo? ). E se in Good Evening Mr. Waldheim * mette alla berlina integralismi di ogni tipo e la cultura del perdono a tutti i costi, attaccando anche personaggi considerati “ inattaccabili” come papa Wojtyla o il leader democratico U.S.A. di allora Jesse Jackson, ( Buonasera signor Waldheim / e Pontefice, lei come sta? / Avete così tanto in comune voi due in ciò che fate…. E Pontefice, egregio Pontefice / chiunque può stringerle la mano? / o semplicemente le piacciono le uniformi / e quelli che le baciano le mani? ), ritrova un po' di tenerezza nel ricordo di Andy Warhol in The Dime Store Mistery , che chiude l’ album. E' il saluto di Reed ad Andy e all’ epoca che rappresentava. Il commiato definitivo, ancora più sentito e toccante, sarà però con il concept album Song For 'Drella, scritto appena prima di New York a quattro mani con il collega/ rivale dei Velvet Ungderground John Cale ma uscito l’ anno dopo.
* Kurt Josef Waldheim (Sankt Andrä-Wördern, 21 dicembre 1918 – Vienna, 14 giugno 2007) fu un politico e diplomatico austriaco. Militante nelle file del Partito Popolare Austriaco, è stato presidente federale dell'Austria dall'8 giugno 1986 al 1992. È stato Segretario Generale delle Nazioni Unite dal 1972 al 1981.
Nel 1986, durante una ricerca nel Bundesarchiv di Coblenza viene rinvenuta una foto che lo ritrae nel 1938 con la divisa di tenente delle Sa, Sturm Abteilungen, le "camicie brune" , battaglioni d'assalto della Wehrmacht. A quel punto il suo passato torna a galla, ma a pezzi, in una lunga sequela di rivelazioni. Lui adotta come unica linea di difesa l'essere stato soltanto un militare che obbediva agli ordini, la stessa di quasi tutti i gerarchi nazisti da Norimberga in poi. Lo stesso viene eletto capo di Stato.
(…) L'unica sanzione per lui sarà essere stato inserito nella lista delle persone indesiderate negli Stati Uniti. Ma non gli verrà mai meno il sostegno, né nei suoi anni "americani" né dopo, da parte del tedesco Helmut Kohl, dall'Urss, dal Vaticano e da numerosi paesi arabi. Così non viene processato per crimini nazisti. Anzi, nell'88 una commissione di storici lo scagiona sottolineando solo come ne fosse «informato». E così resiste nella sua carica fino al termine del mandato nel 1992, accettando di non ripresentarsi e di ritirarsi dalla vita pubblica. Solo due anni dopo riceve, da cattolico fervente, una onorificenza papale per il suo ruolo svolto nelle Nazioni Unite. Ancora una volta mondo da ogni peccato.
Fonte: https://www.unita.it/view.asp?IDcontent=66768
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