Musica

Maurizio Baglini e Silvia Chiesa: Sonate per violoncello

Maurizio Baglini e Silvia Chiesa: Sonate per violoncello

Maurizio Baglini e Silvia Chiesa, straordinaria coppia nel lavoro e nella vita, hanno realizzato questa bellissima incisione di alcune delle pagine più celebri della letteratura per violoncello e pianoforte: le 2 Sonate di Brahms e il celeberrimo "Arpeggione" di Schubert. Il Duo Baglini-Chiesa ha in calendario numerosi concerti in Italia e all’estero dove eseguiranno il programma del CD.
 

Un secolo esatto ( 1797-1897 ) : ecco l’arco temporale che avvolge l’esistenza di Franz Schubert e quella di Johannes Brahms. Fra la nascita del primo e la morte del secondo si contano infatti cento anni di cambiamenti storico-geografici, di sviluppo filosofico e politico dell’ uomo europeo e di prolifico fermento artistico e culturale.
Schubert e Brahms, a livello di concezione drammaturgica delle rispettive produzioni, non possono essere considerati dei veri e propri “ progressisti “ : è Beethoven, nel bel mezzo della fascia storica così vasta che viene qui affrontata, il vero innovatore della creazione musicale. Ma anche personaggi di genio quali Franz Schubert e, molto più tardi, Johannes Brahms, forniscono un contributo fondamentale al patrimonio musicale universale nel corso di tutto il XIX secolo.

Può considerarsi quindi un valore espressivo assoluto l’ insieme delle tre grandi sonate cameristiche proposte nella presente registrazione. La chiave di lettura di queste tre sonate è apprezzabile appieno solo se analizzata dal punto di vista retrospettivo: Schubert filtrato dalle esperienze interpretative delle due Sonate di Brahms. Questa inversione cronologica nell’ ascolto, apparentemente artificiosa, è dovuta fondamentalmente ad un dato di fatto storico: la sostituzione dell’ arpeggione, strumento ben presto caduto nell’ oblio della prassi esecutiva, poco dopo la sua creazione, da parte del violoncello, già ampiamente celebrato come strumento ad arco per eccellenza a partire dal XVII secolo. Gli elementi sonori, e più specificamente timbrici e dinamici che offre il violoncello nell’esecuzione della Sonata schubertiana in questione, sono veri e propri enigmi la cui soluzione è individuabile solo se metabolizzata dall’ esperienza interpretativa delle due Sonate brahmsiane: approfondendo l’ascolto e l’ analisi delle due Sonate di Brahms si può aprire una lettura ardita dello Schubert eseguito al violoncello.

Le due Sonate per violoncello e pianoforte di Johannes Brahms conservano la struttura in forma sonata, ma propongono due sostanziali differenze di carattere drammaturgico: se la prima, op. 38, è perfettamente collocabile nell’ ambito del neogotico *, la seconda, op. 99, composta vent’anni dopo la precedente, è una vera e propria sonata romantica, impregnata di tutti gli eccessi temperamentali tipici del romanticismo tedesco, con qualche inclinazione verso un inizio di decadentismo.

La Sonata op. 38, in mi minore, è composta da tre movimenti ed è priva di un movimento lento : sembra che Brahms avesse abbozzato un Adagio, in realtà mai utilizzato, ma di cui si servì probabilmente vent’anni dopo per concepire l’ Adagio della Seconda Sonata, op. 99. Tutti gli elementi di dilatazione lirica della Sonata n. 1 op. 38 sono pertanto presenti nel primo tempo, Allegro non troppo, grande esempio di forma sonata a tre temi – e non a due, come nella sonata classica per antonomasia - , estensione formale già adottata, del resto, da Beethoven nel primo movimento della grande Sonata per Hammerklavier op. 106. Ad un primo tema in modo minore, di carattere profondamente cantabile ed espressivo, segue un secondo tema, ancora in modo minore, costruito su incastri che ricordano alcuni incipit di canone barocco, arricchiti qui da uno stato emotivo appassionato. Ai primi due temi fa seguito finalmente un tema in modo maggiore, il terzo appunto, che mantiene tuttavia l’inflessibile pulsazione ritmica al basso caratteristica di un tentativo di recupero del barocco: del resto, è nota la venerazione di Brahms nei confronti di Johann Sebastian Bach, venerazione che nel Finale sfocerà in vera e propria citazione del Contrapunctus 13- fuga minore a due tastiere- dell’ Arte della Fuga.

Il secondo movimento, Allegretto quasi Menuetto, vero e proprio minuetto con trio in forma A B A, è anch’ esso collocabile in un * movimento artistico, non solo architettonico, nato in Inghilterra nel 1799 con l’ intento di proporre una ripresa dei temi e degli stili dell’ arte gotica medioevale ambito classicista, caratterizzato da una scrittura piuttosto essenziale, con chiari esempi, però, di lirismo tipicamente romantico presenti nel trio. L’ imponente Fuga finale, Allegro, a cui abbiamo già fatto cenno, suggella la nozione di neogotico attribuibile in toto alla Sonata in mi minore: si tratta di una fuga vera e propria, con alcune licenze, nella quale la competizione acustica fra violoncello e pianoforte è chiaramente a favore dello strumento a tastiera a cui il violoncello risponde comunque con un impatto drammatico di rara bellezza. La sonata culmina in una coda che mantiene il modo minore fino alla fine, caratteristica propria del pessimismo tipico del neogotico.

La Sonata n. 2 op. 99 in fa maggiore, fu scritta nel 1886 da un Brahms in piena maturità, durante una estate molto feconda in termini di produzione, trascorsa sul Lago Thun, in Svizzera. Composta da quattro movimenti, tutti ad altissimo livello artistico, propone un primo tempo, Allegro Vivace, piuttosto tradizionale dal punto di vista della forma : in realtà si potrebbe individuare, spingendosi in analisi avveniristiche, un terzo tema eroico in sedicesimi , immediatamente successivo al secondo tema; ma anche con i tre temi, e non i due universalmente riconosciuti, si è di fronte ad un primo tempo più compatto rispetto a quello della sonata in mi minore.

Tuttavia, questo movimento d’ apertura è altamente innovativo per quanto riguarda la carica emotiva presente, le soluzioni timbriche nuove affidate sia al pianoforte che al violoncello – tremoli di sestine misurate nella scrittura ma molto effettistiche alla resa dei conti – e l’ intensità quasi aggressiva di entrambi i temi, dilatabili soltanto nella coda finale. Segue l’ Adagio affettuoso, in fa diesis maggiore, choc acustico rispetto al fa maggiore del primo movimento, vero punto culminante della poetica del pezzo. Denso di melodie lunghissime sostenute dal violoncello e volute anche nella parte pianistica, il movimento propone una parte centrale, nuovamente in fa ma questa volta in modo minore, assai tormentata e sofferta, prima di tornare al luminoso fa diesis maggiore nella ripresa. Il terzo movimento, Allegro passionato, è per entrambi gli interpreti il momento esecutivo cruciale: anche qui si ha una forma ABA, come nel movimento intermedio della precedente Sonata. Il tutto è esposto ad una difficoltà strumentale davvero ragguardevole. Chiude la Sonata un Allegro scritto in forma di Finale, dai toni positivi e affermativi, certamente meno intensi rispetto a quelli proposti nei movimenti precedenti. Il movimento, concepito comunque in modo superbo, propone una coda assai galvanizzante, una vera e propria apoteosi dei sentimenti più positivi che Brahms potesse comunicare.

La Sonata per arpeggione e pianoforte in la minore D 821 di Franz Schubert deve la propria popolarità a due fattori fondamentali: l’ indubbio impatto emotivo della composizione stessa e la curiosità nei confronti dello strumento a cui fu destinata, l’ arpeggione appunto. Che cosa è l’arpeggione? uno strumento di alta liuteria messo a punto nel 1823 dal celebre liutaio viennese Johann Georg Staufer. Simile tanto al violoncello, a livello di forma fisica, quanto alla chitarra, per il fatto che presentava sei corde anziché le quattro del violoncello, l’ arpeggione veniva anche chiamato chitarra-violoncello o chitarra ad arco . L’esistenza dello strumento è da considerarsi pressoché fallimentare, o quanto meno effimera, dal momento che è caduto ben presto in disuso e forse non se ne parlerebbe neppure se non esistesse il capolavoro schubertiano in questione. Poiché attualmente non si dispone di una vera reperibilità dell’ arpeggione nella propria veste originale, la versione eseguita dal violoncello è la più accreditata: tuttavia ne esiste anche una per viola e addirittura una proposta sotto forma di trascrizione per violino. Come gran parte della vastissima produzione di Franz Schubert , anche in questo caso la prima edizione si rivelò postuma, esattamente del 1871.

Se il passaggio da fortepiano a pianoforte “ moderno “ come spesso avviene per le musiche scritte prima del 1865 ca. non comporta delle vere e proprie modifiche nella prassi esecutiva dello strumentista a tastiera – pur comportando, invece, scelte radicali di ordine filologico ed espressivo -, il salto da arpeggione a violoncello è, in termini puramente tecnici, un grande scoglio da superare anche per i veri e propri virtuosi del violoncello. Non solo il passaggio dalle sei alle sole quattro corde, ma anche i problemi di tessitura così estesa e i cambi di registro del violoncello così repentini, conferiscono al pezzo una dimensione realisticamente molto esposta e rischiosa nell’esecuzione pura e semplice della Sonata.

La Sonata, in tre movimenti, é densa di temi cantabili – anzi, liederistici – tipici di Schubert, alternati a figurazioni ornamentali o ritmiche sempre arricchite da un vero spessore musicale. Il primo movimento, Allegro Moderato, il più celebre e impregnato di nostalgica e poetica tristezza, è un grande esempio di forma sonata nel senso più autentico del termine, con uno sviluppo che si addentra anche in tonalità lontane rispetto all’ impianto di base. Il secondo movimento, già citato, è un Adagio che funge da introduzione molto dilatata al rondò finale, Allegretto. Si tratta di un Adagio di profondo lirismo, in mi maggiore, arricchito da modulazioni piuttosto audaci che si moltiplicano nella coda particolarmente ampia: un vero preludio al rondò finale, vero e proprio capitolo catartico dell’ intera opera, in cui il violoncello si misura con difficoltà tecniche, per la verità già presenti nel primo movimento, indiscutibilmente temibili. Nel primo tema del rondò, che potremmo nominare sezione A, poi presente come A1 e A 2, un pedale di la maggiore sostenuto dal pianoforte funge da cellula compositiva principale; le sezioni B e C, invece, sono rispettivamente proposte sotto forma di variazione virtuosistica su basso ostinato – episodio in re minore, che poi diventerà la minore nella propria riesposizione - e di “ Ecossaise “ in mi maggiore, rievocazione folkloristica della danza scozzese filtrata da un vero e proprio essenzialismo compositivo che rende l’ episodio quasi liederistico, pur lasciando al violoncello ornamentazioni più virtuosistiche che cantabili.

Maurizio Baglini