Si apre nell’Auditorium di Castel S. Elmo la stagione 2013-2014 dell’Associazione Alessandro Scarlatti, ed è una partenza, diciamolo subito, che lascia la soddisfazione ed il senso del prodigio.
In programma c'era soprattutto Mozart, anzi il “loro” Mozart, quello dei Camerata Salzburg diretti da Louis Langrée, insieme con la violinista Hilary Hahn, intervallato da due particolarità meno facili ad ascoltarsi: prima del Concerto per violino e orchestra n. 3 in sol maggiore K216 e della Sinfonia n. 41 in do maggiore K551, infatti, sono stati eseguiti l’Adagio per archi, op. 11 di Samuel Barber (1910-1981) e The lark ascending, per violino e orchestra, di Ralph Vaughan Williams (1872-1958).
Accenniamo prima a questi ultimi due, poiché il discorso principale mozartiano merita una trattazione separata.
Di Samuel Barber, questo Adagio per archi è l'arrangiamento di un movimento del precedente quartetto per archi op. 11, con il quale ottenne grande fama (appare anche in film come Platoon e The elephant man, e venne eseguito durante i funerali di Einstein, Kennedy, Grace Kelly e del principe Ranieri): una progressione di 23 archi a gradi congiunti ascendenti, talvolta variati ed invertiti, dal risultato assorto e dal crescendo drammatico che infine riporta allo stato di quiete iniziale; un timbro caratteristico di Barber e di quello che fu definito il suo neoromanticismo, eseguito con impeccabile unione di tutti i maestri dell'orchestra.
The lark ascending, brano per violino e orchestra di un Williams qui da noi poco noto, è il titolo ed il tema di una poesia di George Meredith nella quale viene disegnata l’ascesa dell'allodola. Composto mentre ancora non erano spenti gli echi della Grande Guerra, e dedicato alla violinista inglese Marie Hall, svela per intero il suo stile melodico e nostalgico, e possiede la capacità di unire una musica all'apparenza familiare e tuttavia approfondita, una sensazione di cose terrene ed insieme la loro elevazione ad ultraterreno, fra un respiro ampio di paesaggi bucolici e quasi americani, rasserenanti, ed una certa vena di patriottismo.
Ma veniamo al Nostro. Il K216 è il terzo dei cinque grandi concerti per violino (K207, K211, K216, K218 e K219) che Mozart scrisse dopo il suo ritorno a Salisburgo nel 1775, di ritorno dai tre mesi di soggiorno a Monaco nei quali ebbe modo di ascoltare e fare proprio il gusto nuovo rappresentato dai compositori francesi dalla moda radiosa e senza virtuosismi eccessivi. Ed è questa luminosità, ad apparire come una delle principali caratteristiche, elegante quanto vellutata e gioiosa, pronta anche a preannunciare la perfezione ulteriormente raggiunta dagli ultimi due dei cinque concerti. Uno spirito “galante, ma i temi in minore ci sorprendono -diceva Cadieu-. L'adagio è un lungo canto melodico dal carattere tragico”.
Ed Hilary Hahn, virtuosa pluripremiata (compresi due Grammy), soprattutto qui trova terreno fertile per la sua padronanza e per il suono preciso e potente del suo strumento, una copia datata 1864 del Cannone di Paganini.
Della Sinfonia n. 41 in do maggiore K. 551 non è facile dire qualcosa che non abbia formato già oggetto di giusta celebrazione: la forza e la grazia dei Suoi 32 anni, gli elementi che sono stati assorbiti e reinventati nella storia di Wolfgang, il viaggio verso la trascendenza che sarà proprio del Flauto Magico, l'architettura trafiggente del Finale che è come la consapevolezza di un itinerario personale al passo concludente, con tanto di firma del Salisburghese attraverso il “motto mozartiano”... tutto converge in un'opera dalla dimensione smisurata, che un ignoto editore definì col nome giunto fino a noi (Jupiter), e tutto questo senza mai perdere la sua leggerezza.
I Camerata Salzburg, in questo quadro, non “entrano”: ne fanno parte. È dal 1952 che docenti e studenti del Mozarteum compongono il complesso fondato da Bernhard Paumgartner col nome di Camerata Academica des Mozarteums Salzburg, e da lui diretto fino al 1971. È un grande regalo, questo della Scarlatti: in 60 anni di concerti ed incisioni, insieme con la provenienza di lusso del comune studio e della tradizione del locus, oggi questi maestri affrontano il K216 avendolo nel cervello; si può pensare forse che non vi sia spazio per l'elemento passionale, ma abbiamo di fronte un tale livello da rendere anche il K551 non una interpretazione, ma una Esecuzione, della quale si può distinguere ogni nota da ogni fila e riconoscerne la precisione; come stare in una sala di registrazione, ed ascoltare la versione definitiva da incidere sul CD, e con la sensazione che quelli “dal vivo” eravamo solo noi, quaggiù.