Musica

PETER GABRIEL - VERONA 26/09/2010

PETER GABRIEL - VERONA 26/09/2010

È possibile fare un concerto rock “ No drums, No guitars, Just orchestra”?
Perché è questo che promettevano i manifesti e il merchandise “made in Peter Gabriel”, in scena domenica 26 settembre nella sempre splendida Arena di Verona. Forte di un album di non immediata presa ma a suo modo innovativo, Gabriel sta portando in giro, centellinando le date, un tour altrettanto anomalo. Dove una volta c’era fisicità, ora c’è introspezione. Dove c’erano “Guitars and Drums” ora c’è un orchestra di 54 elementi, la New Blood Orchestra.
La prima parte dello spettacolo ( dopo un opening act acustico di due canzoni da parte della cantautrice norvegese Ane Brun la quale, terminato il set, andrà ad affiancare la figlia di Gabriel, Melanie, ai cori) è tutta concentrata sulla riproposizione dell’intero album “ Scratch My Back”. La scenografia, come sempre quando si tratta di Gabriel, è splendida e, ad un primo sguardo, quasi minimalista: “solo” schermi LED ad avvolgere l’orchestra. Ci si accorgerà durante il concerto di quanto possano essere in pieno contesto
Gabriel parte con Heroes di Bowie e The Boy In The Bubble di Paul Simon ma è con Mirrorball e Flume ( rispettivamente degli Elbow e di Bon Ivers ) che, finalmente, comincia ad usare la voce fino ad ora rimasta preoccupantemente bassa. Dopo una Listening Wind dei Talking Heads senza infamia e senza lode, esattamente come nell’album, si torna a volare alto, altissimo con Lou Reed ( The Power Of The Heart ) e My Body Is A Cage degli Arcade Fire. La New Blood Orchestra fa scintille, quasi mettendo in ombra lo stesso protagonista che spesso, durante lo spettacolo, si farà da parte lasciando spazio alla magnificenza dell’ orchestra.
Dalla divertente e tenera The Book Of Love, con le sue animazioni stilizzate, si passa a Randy Newman con I Think It’s Going To Rain Today e, anche qui, forte di una canzone veramente intensa, si tocca di nuovo uno dei punti più alti della prima parte. La chiusura è riservata a Après Moi di Regina Spektor, una sussurrata Philadelphia di Neil Young, dove Gabriel in verità arranca un pochino quando tenta di replicare il falsetto del canadese, per poi terminare con Street Spirit dei Radiohead in una versione davvero suggestiva.
Con un piccolo regalo fuori programma, Wallflower, da uno dei primi album dello stesso Gabriel, si chiude ufficialmente il primo set.
Dopo quindici minuti di intervallo si ricomincia con quella che, sicuramente, è la parte attesa con più curiosità, ovvero la riproposizione dei brani storici di Gabriel completamente riarrangiati per voce ed orchestra. Non si tratta di un semplice riarrangiamento, però; Gabriel e l’arrangiatore John Metcalfe hanno letteralmente destrutturato le canzoni ed integrato in queste l’orchestra in un’ operazione che va al di là di un comune e più facile riarrangiamento (vedi ad esempio l’ultimo lavoro di Sting). Peraltro l’ operazione ha talmente coinvolto Gabriel da fargli interrompere momentaneamente il tour per poter preparare un album, non preventivato e di futura uscita, che raccoglierà queste “ nuove” canzoni.
La seconda parte si apre con San Jacinto...e non si poteva partire meglio!
La scenografia, la voce e gli echi dell’ orchestra si fondono in modo incredibile fino ad arrivare all’ inquietante finale dove Gabriel, nella semioscurità, “punta” il pubblico attraverso la luce riflessa in uno specchio. Digging In The Dirt è bella sempre e comunque ma è abbastanza spiazzante aspettarsi gli inserti di chitarra o il basso di Tony Levin e ritrovarsi invece l’ orchestra che forse ammorbidisce un po’ troppo la tensione della canzone. Lo stesso problema lo si avrà qualche canzone dopo, con Darkness, dall’ album Up. Dove nel disco vi erano esplosioni di chitarre e voci distorte, nell’ esecuzione live il tutto subisce un approccio più classico e, anche se l’orchestra tiene il passo senza cedimenti, viene un po’ a perdersi quell’ atmosfera “malata” che si respirava nella versione di studio. Niente di male comunque perché, fra le due canzoni, Gabriel infila la delicata The Drop, il piacevole duetto già sperimentato un paio di tour fa con Melanie in Downside Up ma, soprattutto, quello che di sicuro è uno degli highlights della serata: Signal to Noise. Mentre le coriste cercano di non far rimpiangere troppo la grande voce del compianto Nusrat Fateh Ali Khan presente nell’ originale, la New Blood Orchestra letteralmente esplode in tutta la sua potenza nella coda della canzone. La fine della serata sembra ancora lontana e Gabriel abbassa un poco i toni con Mercy Street e con la delicatissima Blood Of Eden, ancora una volta duettando con la figlia. Rhythm Of The Heat, complice ancora una volta la lunga coda orchestrale, è uno dei pezzi più applauditi e, dopo una poco conosciuta Intruder e la magica Washing Of The Water, Gabriel riparte alla grande con una splendida Red Rain. Gli schermi sputano pioggia di fuoco, la voce non ha più neanche l’ombra delle incertezze di inizio concerto e alla fine è impossibile non scattare in piedi ad applaudire. Il tempo di un respiro e parte Solsbury Hill, segno che purtroppo si sta andando verso la fine della serata. Ci si sposta quanto più possibile sotto al palco. Gabriel, a dispetto dell’ormai scarso physique du role, in ambito live rimane un grandissimo trascinatore e, al termine della canzone, mentre questa si fonde con L’inno alla gioia di Beethoven, l’entusiasmo è incredibile. Pausa prima dei bis, dagli schermi laterali due mani arringano il pubblico affinché si applauda sempre più forte e, tra gli applausi, rientrano le coriste, Peter e l’orchestra per quella che è diventata la canzone di rito, presente ad ogni chiusura di concerto da almeno tre tour a questa parte: In Your Eyes.
Il pubblico ormai è del tutto conquistato e, dopo quasi tre ore di concerto, non mostra segni di stanchezza. E’ facile così per Gabriel accompagnarlo dolcemente al vero finale, prima con Don’ t Give Up e poi con la strumentale The Nest That Sailed The Sky.
All’uscita, quel “no drums, no guitars” che quasi suonava come una minaccia ora incute meno timore e lascia solo un filo di malinconia.
Quindi, è possibile fare un concerto rock “Just Orchestra”? Se ci si chiama Peter Gabriel, sì, senza dubbio.