“Trueloves gutter” è un album percorso da un’atmosfera pensierosa e sognante, sembra una perfetta colonna sonora di un film sentimentale: si tratta di una collezione di brani lenti, percorsi da una lieve vena country e che ricordano certe ballate portate al successo da Elvis Presley. La mancanza di un’interruzione, di uno “stacco” da questo genere, certo, rischia di rendere il disco monotono e noioso; manca un tocco di vivacità, un po’ di energia e sembra di trovarsi di fronte ad una raccolta di dolci ninne-nanne. Del resto lo stesso Hawley ha spiegato che l’album era pensato con “un unico umore che percorresse l’intero lavoro”.
D’altro canto, c’è un’innegabile ricercatezza nella creazione di certe atmosfere grazie al suono cavernoso ed evocativo di uno strumento insolito come il megabass waterphone e l’eco vibrante del crystal baschet, che aprono appunto il primo brano “As dawn breaks”, accompagnati dal cinguettio degli uccelli. La chitarra intona le prime note ed entra la voce profonda del cantante, per una canzone soft, ricca di dolcezza. Si prosegue con “Open up your door” che si avvia proprio con le parole del titolo cantate da Hawley su una base di pochi semplici accordi. È un pezzo romantico e sentimentale che vede arricchirsi gradualmente l’accompagnamento strumentale fino ad una bella conclusione orchestrale. “Ashes on the fire” ripete un motivo un po’ monotono; l’umore nostalgico è reso dall’immagine delle ceneri sul fuoco. Il titolo del brano “Remorse code” sembra ricordare con un gioco di parole il codice morse, e si canta di rimorsi e rimpianti. In “Don’t hung up in your soul” la voce è assoluta protagonista della melodia, affiancata con discrezione dalla chitarra. “Soldier on” prosegue sulla scia del pezzo precedente; un tenue rullo di tamburi di sottofondo ricorda la marcia del soldato. Assolutamente inaspettata la conclusione, decisamente più “rumorosa”: il batterista picchia sui piatti e si sentono intervenire con energia chitarra elettrica ed archi. “For your lover give some time” vanta ancora una bella melodia realizzata dagli archi, mentre “Don’t you cry” prende il via col suono del megabass waterphone ed il ticchettio di un orologio che ci da una percezione terribilmente realistica del tempo che passa. Si sente un altro strumento, poi (forse un carillon o un metallofono?), che ha il compito di introdurre il tema della canzone, seguito da voce e chitarra.
Laura Mancini
Musica