Fo, nomen omen: in due lettere la sua essenza. Fare, dire, brigare. Alla toscana, poi, per lui che era lombardo doc.
Ora tutti scriveranno tutto: celebrazioni, apologie, ripescaggi di vecchie interviste. E, ancora: excursus storico sulla carriera, Mistero Buffo, la censura RAI, il Nobel.
E’ giusto, perché stiamo parlando di Dario Fo.
Di lui, della sua carriera, si può leggere su Wikipedia. Brutto da dire, ma realistico. In questi giorni ne saremo storditi, tra TG, social e giornali.
La verità è che uno come lui non si può riassumere in uno scroll di pagina.
Quindi, per fare un omaggio diverso, semplifico. Penso alla prima cosa legata a lui che mi salta in mente, il titolo di un articolo letto un anno fa su un’altra testata: "Franca, ti sogno ancora ma tu fuggi sempre via".
Ecco, qui c’è tutto Fo. C’è la sua essenza, la sua capacità di “vedere”, il suo rapporto col tempo, il suo amore per la moglie e per la loro vita insieme, sul palco e fuori. Un rapporto da cui è nato tutto.
Lui era così, è sempre stato così. E, anche in vecchiaia avanzata, non ha mai smesso di “brigare”, come mi disse una volta in teatro. Pensare che l’avevo avvicinato per dirgli quanto lo avevo adorato nel ruolo di Azzeccagarbugli ne I Promessi Sposi televisivi. Mi aveva abbracciato ridacchiando, forse perché ero l’unica stolta ad avergli fatto i complimenti per quel ruoletto.
Per questo non ho altro da dire su Dario Fo. A parte una sua citazione, che è vera come non mai e in linea con questo nostro, personale, addio:
“C’è una regola antica nel teatro. Quando hai concluso non c’è bisogno che tu dica altra parola. Saluta e pensa che quella gente, se tu l’hai accontentata nei sentimenti e nel pensiero ti sarà riconoscente.”