Teatro

Alice in fuga dal paese delle meraviglie

Alice in fuga dal paese delle meraviglie

«La nostra Alice è alla stazione, per prendere il treno che la porterà all’estero. Ha finito l’università, e questo ‘meraviglioso’ Paese che è l’Italia non le permette di crescere: è troppo grande per studiare, troppo piccola e inesperta per lavorare, troppo qualificata per questo, poco qualificata per quello… Alice aspettando il treno si addormenta, e sogna, e fa mille e mille incontri…». Così il team registico formato da Laura Fatini e Gabriele Valentini presenta il suo spettacolo “Alice. Fuga dal paese delle meraviglie” messo in scena nella affascinate ambientazione del medievale Castello di Sarteano. Parliamo del lavoro teatrale posto come evento d’apertura del 39° Cantiere d’Arte di Montepulciano, tutto svoltosi all’aria aperta, ed ispirato ai celebri libri di Lewis Carroll (“Alice nel paese delle meraviglie” e “Attraverso lo specchio”). Il compito di dargli vita toccava ad un gruppo di ben trenta attori della locale Nuova Accademia degli Arrischianti, gruppo che comprendeva anche cinque differenti Alici come spieghiamo più avanti; e che era supportato da un vasto manipolo di collaboratori, di addetti ai costumi (costumi molto belli, lo diciamo subito) e alle scene, e di tecnici vari provenienti tutti da quel territorio del basso Senese. Tra l’altro, un compito di non indifferente impegno è stato quello di fondere in un solo cast, come ci è stato riferito, attori già di grande esperienza che stabilmente fanno parte degli Arrischianti, e talenti che maturano nei laboratori permanenti dell’attivissima Accademia di Sarteano.


«Affrontare  “Alice” è entrare proprio in un Paese delle Meraviglie - precisano ancora Fatini & Valentini – con personaggi, motti di spirito, incontri e filastrocche che solo all’apparenza sono per bambini. Alice è una giovane donna che si trova di fronte a delle situazioni inaspettate, cercando sempre di esserne all’altezza, e di ricavare da esse degli insegnamenti; tutti gli strani personaggi infatti la mettono in discussione, le chiedono “Chi sei?” per poi chiedere che significato ha il suo nome, la fanno parlare senza ascoltarla, la coinvolgono in mille peripezie costringendola a cambiare statura, voce, aspetto. Il paese in cui viaggia Alice non è quindi ‘meraviglioso’ se non nel suo significato più proprio: desta stupore, lascia a bocca aperta, sconvolge, confonde, sbigottisce: è un paese da cui è difficile andare via, perché sorprende e ammalia, ma che non lascia crescere, diventare grandi, adulti».
Per fare questo, è stato strutturato uno spettacolo a quadri alquanto complesso e quasi sempre in movimento, con voci fuori scena che ci richiamano continuamente all’attualità - un presente in cui i nostri giovani incontrano ahimé enormi difficoltà ad inserirsi - che ha inizio e termine, con andamento circolare, in una banchina ferroviaria inondata di valige, dove Alice spetta impaziente il suo treno con un libro in mano, con il muto Bianconiglio a farle compagnia. Di qui la storia prende quattro strade diverse ed il pubblico, diviso in altrettanti gruppi contraddistinti  da un simbolo delle carte da gioco - cuori, fiori, picche e quadri – si divide e parte per quattro direzioni diverse. Un gruppo alla volta, ognuno accompagnato dalla propria Alice, assiste ad uno dei momenti salenti della vicenda narrata. Vicenda suddivisa quindi in quattro quadri dislocati in altrettanti angoli del castello e del parco che lo attornia, con l’onnipresente Bianconiglio a fare da surreale sentinella dagli spalti: la folle cerimonia del thé con il Cappellaio Matto, il Ghiro e la Lepre Marzolina, la bizzarra disputa tribunalizia con il Re e la Regina di quadri,  l’incontro con la Duchessa maestra di bon-ton, quindi con lo stralunato dialogo con il Gatto dello Chesire, e poi via a far conoscenza del Brucaliffo, sino a quando i quattro gruppi di semi – instradati nelle varie tappe con cronometrica precisione – fanno contemporaneamente ritorno al punto d’inizio. Qui Alice rincontra tutti i bizzarri personaggi di Lewis Carroll, che mutano d’abito per indossare vestiti da normali viaggiatori, prendendo con sé una valigia. Il Brucaliffo è ora un inserviente della stazione che vende bibite e dolcetti, e quello acquistato da Alice - una volta scartato - ha la strana forma di un fungo…tutti i personaggi attendono che lo morda, e di qui la storia potrebbe ricominciare, no? Ma un lampo di luce rossa congela tutto, e sulla scena cala il buio della notte piena.
Il materiale che potrebbe essere fornito dai due racconti di Lewis Carroll è cospicuo, si sa, ma bisognava scegliere senza strafare: il giusto apprezzamento ed un plauso sincero dunque a Laura Fatini per aver saputo ricavarne un testo teatrale agile, vivido e intelligente, grazie ad un accorto un lavoro di taglio e cucito; e per avere oltretutto saper curare da sola la fantasiosa scenografia notturna di ogni quadro, unendo fantasia e semplicità. Quanto alla regia in sé, lei e Gabriele Valentini hanno elaborato, con grande fatica e percepibile impegno, un racconto che risulta stringente ed assai intrigante, costruito oltretutto con cronometrica precisione, sfruttando in pieno e mettendo in rilievo le molteplici risorse del foltissimo cast a disposizione. Un cast nel quale hanno particolarmente brillato l’irresistibile Gianni Poliziani (il Cappellaio Matto) e la bravissima Flavia del Buono (la Duchessa).