Dopo aver tanto tribolato alla ricerca di un'affermazione definitiva, e conquistato un personale seguito di pubblico con il successo travolgente del "Nabucco", la prima preoccupazione del giovane Verdi fu quella di non farselo più sfuggire di mano. Si mise così a lavorare a testa bassa, infilando un'opera dopo l'altra, senza nulla trascurare per poter cogliere ogni volta un'ulteriore affermazione. E lo fece accantonando anche, per il momento, ogni velleità di rinnovamento ed ogni aspirazione idealistica, tanto che si potrebbe pacificamente concordare con uno studioso quale Francis Toye, quando afferma che il "Nabucco", come esemplare di coesa organicità artistica, restò insuperato sino all'apparire del "Rigoletto". Dal 1843 al 1849, i famigerati "Anni di galera" trascorsero così, assai rapidamente, con un Verdi pronto ad adattarsi alle esigenze delle piazze dove erano richiesti i propri lavori, assecondando con soggetti e situazioni adatte le fiamme delle aspirazioni risorgimentali, scegliendo e preparando con cura gli interpreti, questionando con i librettisti e litigando gli impresari. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Opere di indubbio interesse e di buon livello - come "Ernani", "Macbeth" o la "Luisa Miller", che chiude la serie dei lavori di quel periodo affannato - si alternano con altre di secondaria valenza, anche se magari baciate al momento da un consenso di pubblico travolgente come "I lombardi alla prima crociata" o "La battaglia di Legnano". Per non parlare poi di certe deboli creature quali "Il corsaro" e "Giovanna d'Arco".
Inserita temporalmente proprio tra quest'ultima ed "Attila", anche l'ottava fatica teatrale di Verdi - cioè "Alzira" - non ha mai avuto vita facile. Le primissime recite dell'agosto 1845 non furono un mezzo disastro, come talora capita di leggere; ma neppure seppero suscitare nel pubblico partenopeo grande interesse, e lo stesso poi accadde in seguito a Milano e nelle altre piazze ove apparve, sino a portare alla definitiva e prematura scomparsa dal repertorio - per morte naturale, verrebbe da dire - di questo titolo minore. Vale però in questo caso tener conto, più che della netta stroncatura che le diede Verdi stesso (la celebre, lapidaria affermazione «Quella è proprio brutta»), del sereno giudizio di Massimo Mila, il quale prima identifica i momenti salienti della partitura nella Sinfonia, nell'aria di sortita di Gusmano, nella cavatina di Alzira «Da Gusman, su fragil barca» (e la cabaletta seguente), nel duetto Alzira/Zamoro, in tutto il finale dell'atto primo; e poi, passando al secondo, nel forte duetto Alzira/Gusmano «Il pianto, l'angoscia», e nella bella aria di Zamoro «Irne lungi ancor dovrei». E poi passa mettere in chiaro gli innegabili difetti generali, cioè il recitativo sempre troppo sbrigativo, gli accompagnamenti cadenzati e comuni, ed una conclusione finale sin troppo fragorosa, che svilisce assurdamente il precedente crescendo di emozioni destato nello spettatore. Ed osserva poi, con giusto rammarico, che «purtroppo la natura dell'arte…è tale che una piccola percentuale cattiva nuoce alle parti buone, assai più di quanto possa giovare la presenza del buono in mezzo ad elementi scadenti». Concludendo infine che, anche a causa di un libretto assai convenzionale nella struttura né particolarmente brillante nei versi, pur essendo «non trascurata né sciatta, Alzira è tuttavia quella che fra le opere giovanili di Verdi mostra le minori inquietudini di ricerca drammatica». Per la sua rarità, non molti sono dunque quelli che possono dire di averla vista; in Italia, l'ultima occasione mi pare sia stata a Parma, giusto dieci anni fa, inserita nel cartellone del Festival Verdi sotto la guida di Bruno Bartoletti, e con Paoletta Marrocu nei panni della protagonista.
Quella offerta il 15 settembre dall'Alto Adige Festival/ Festspiele Südtirol di Dobbiaco, manifestazione che da tre anni (cioè da quando è stato fondata) recupera un titolo operistico di scarsa circolazione, è stata dunque un'occasione da non sprecare; anche perché questa "Alzira" era affidata - con un'esecuzione in forma di concerto nell'imponente Gustav Mahler Saal - alla vigile bacchetta di Gustav Kuhn, l'anima stessa della manifestazione sudtirolese. Il carisma e l'entusiasmo del direttore austriaco nell'affrontare e risollevare una pagina poco frequentata, ma pure non priva di qualche qualità, hanno contagiato l'orchestra Haydn di Trento e Bolzano, mostratasi in forma eccellente: tensione sempre nervosa, accompagnamento brillante, atmosfere centrate, grande musicalità evidente negli squarci strumentali, ma soprattutto in un sostegno solido e possente agli interpreti. Qualche inevitabile perplessità sorgeva invece sul versante delle voci, ma solo per l'Alzira del soprano giapponese Junko Saito, voce abbastanza interessante e dotata di un certo temperamento, ma che qui metteva in campo un'emissione alquanto perigliosa, con faticoso controllo dei piano e con mezze voci poco consistenti; e che quando saliva al registro superiore esibiva acuti taglienti e forzati sino al limite (talora superato) del grido fastidioso. Non poche poi le pecche nella dizione, negligente e non sempre chiara - vedi un «Ci fia?» per «Chi fia? - altra manchevolezza difficilmente perdonabile quando ci si deve cimentare in un siffatto repertorio. Assai meglio figurava, tanto per dire, pur nella parte 'secondaria' di Zuma, la nostra brava e graziosa Anna Lucia Nardi. Più apprezzabili le cose sul versante maschile: il bavarese Ferdinand von Bothmer conferiva statuario risalto alla figura di Zamoro, grazie ad una vocalità tenorile generosa, abbastanza attenta a quel fraseggio ed a quell'accento che il Verdi giovanile pretende dai suoi interpreti; Thomas Gazheli sapeva tratteggiare a dovere, con voce potente e con giusto stile la figura un po' ambivalente di Gusmano, psicologicamente non certo semplice; il basso Francesco Facini scolpiva un Alvaro nobile e virile, grazie ad una voce bella e ben calibrata in profondità; positiva prova di Joshua Lindsay e Joe Tsuchikazi nei panni di Ovando e di Otumbo. Ottima prestazione del coro nominalmente dobbiacense, ma di fatto lo stesso presente al festival estivo austriaco di Erl, preparato con cura da Marco Medved.
Tra parentesi, la serata è stata videoregistrata dalla Unitel, in vista dell'inserimento in una "opera omnia" in DVD che sarà edita per le prossime celebrazioni verdiane del 2013.
Teatro