Teatro

Beato il popolo che non ha bisogno di eroi

Beato il popolo che non ha bisogno di eroi

Giuliana Musso in scena al Teatro Ca' Foscari di Venezia con il monologo dedicato alle madri degli eroi.

Giuliana Musso, proseguendo la sua infaticabile ricerca di un teatro che diventi sempre meno teatro e sempre più comunità che riunisce e si riunisce, approda al teatro Ca' Foscari di Venezia  con Mio Eroe, scritto e diretto da lei stessa, seppur con la complicità di Alberto Rizzi, e prodotto da  La Corte Ospitale, divenuta ormai da tempo luogo di elezione e di riferimento per tutta la sua produzione. Lo spettacolo è in scena al Teatro Ca' Foscari di Venezia mercoledì 15 marzo alle 20,30.

La guerra che verrà non è la prima
Lo spettacolo è ispirato alla biografia di alcuni dei 53 militari italiani caduti in Afghanistan tra il 2001 e il 2014, tuttavia a parlare sono le voci delle loro madri. Madri che testimoniano con devozione la vita dei figli che non ci sono più, ne ridisegnano il carattere, il comportamento, gli ideali. Costruiscono un altare di memorie personali che trabocca di un naturale amore per la vita. Cercano parole e gesti per dare un senso al loro inconsolabile lutto ma anche all’esperienza della morte in guerra, in tempo di pace. Il tema dunque è la guerra ovvero le guerre, meglio ancora la guerra come segno della contemporaneità e come paradossale trait d'union tra microstorie e Storia con la esse maiuscola.

Dolore di madri e miti eroici
Nell’alveo di racconti intimi, a tratti lievi, a tratti drammatici, prende però forza e si fa spazio un discorso etico e politico. La voce stigmatizzata della madre dolorosa, che da sempre viene ricondotta allo spazio dei sentimenti, apre dunque un varco, esce dagli stereotipi e si pone interrogativi puntuali sulla logica della guerra, sull’origine della violenza come sistema di soluzione dei conflitti, sul mito dell’eroe e sulla sacralità della vita umana.
Il dolore delle madri può superare la retorica militaristica, ma i temi della pace e della maternità, purtroppo, risuonano ancora per quello che sono: pubblicamente venerati e segretamente dileggiati.