Aperta a Conegliano, in Palazzo Sarcinelli, la mostra dedicata al nucleo di opere di Giovanni Bellini e dei suoi seguaci custodite nella Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi in Rovigo, insieme a lavori di altri pittori quattro-cinquecenteschi italiani e nordici.
Dopo Giambattista Cima ed Il Cinquecento inquieto della Marca Trevigiana, dopo le famiglie dei Carpaccio e dei Vivarini, Giandomenico Romanelli indaga quest'anno a Palazzo Sarcinelli in Conegliano con la mostra Bellini e i belliniani l'atelier – in veneziano, la bottega – maggiormente attivo ed influente nella Venezia tra fine '400 ed inizio '500, cioè quello di Giovanni Bellini.
La trentina di opere, prevalentemente da cavalletto e devozionali, vede due suoi capolavori – una Madonna con Bambino del 1470 circa e lo struggente Cristo portacroce – affiancati da dipinti di vari autori più o meno coevi, non sempre però a lui direttamente riferibili. La maggior parte dei quadri che troviamo nel nostro percorso, infatti, appartengono a suoi discepoli o collaboratori, come le due Madonne di Nicolò Rondinelli e di Pasqualino Veneto, le due belle versioni della Circoncisione di Marco Bello (derivate come molte d'altri colleghi dal prototipo belliniano), le luminose Madonne e Santi di Palma il Vecchio e Gerolamo da Santacroce, il vago Cristo benedicente di Francesco Bissolo, il piccolo e melanconico Ritratto di giovane di Andrea Previtali ed il grande, severo Ritratto di studioso di Domenico Capriolo, la raffinatissima Suonatrice di liuto di Bartolomeo Veneto.
Ma una piccola quota di tavole e di tele, a rigor di termini, poco o nulla avrebbe a che fare con il Giambellino, come s'usava chiamarlo una volta: né la pur intrigante Santa Lucia di Quirizio da Murano, dipinta nel 1462 ed attorniata da quattro Storie della sua vita; né la Madonna in trono con Bambino e Santi dei fratelli Dosso e Battista Dossi, squisitamente ferrarese; né tanto meno l'Adamo ed Eva, copia peraltro notevole da Dührer, il Buon Pastore del nordicissimo Jan Mostaert, o la Vanitas del fiammingo Mabuse. Opere meritevoli d'attenzione, certo, ma il cui inserimento forza e devia di non poco un discorso che avrebbe potuto essere ben più lineare e pregnante.
Insomma, se il nucleo di quadri raccolti in Palazzo Sarcinelli appare molto interessante e vale comunque un viaggio a Conegliano, nell'esposizione resta un limite di partenza: quello di vedere i suoi soggetti, con l'eccezione d'una sola tela di collezione privata, provenire esclusivamente dalle raccolte dell'Accademia dei Concordi di Rovigo; ed infatti - seppure in piccolo ed in seconda battuta - il titolo della mostra questo lo dichiara da subito.
Invece, a parer mio, pur partendo da questa solida base si avrebbe potuto osare di più, cogliendo l'occasione di indagare ed approfondire l'argomento della bottega belliniana - come Romanelli ha fatto con passione ed assai bene gli anni scorsi con quelle dei Carpaccio e dei Vivarini – includendo nella rassegna alcune opere peraltro facilmente reperibili nel territorio circostante; opere custodite, per dire, a Feltre, Treviso, Belluno o Padova, o in altri vicini centri minori. E mi riferisco in particolare alle creazioni dei tanti satelliti minori che ruotarono intorno al grande pianeta belliniano: manca qui qualcosa di Marco Basaiti, che nella Vocazione dei figli di Zebedeo dell'Accademia si palesa stretto epigono del lessico di bottega; manca ad esempio ancora qualche idea di Vincenzo Catena, di Girolamo Strazzaroli, di Lattanzio Da Rimini, del Marziale, di Vincenzo delle Destre, di cui a Treviso è celato in San Leonardo un Sant'Erasmo e Santi alquanto trascurato dalla critica.
La bottega di Giovanni Bellini fu senza dubbio un meraviglioso e complesso universo in continua espansione, nel quale transitarono in tanti; e da cui uscirono anche astri di primissima grandezza come quelli di Tiziano e Giorgione. Un universo entro il quale invece rimase fedelmente, come a presidiarlo ad oltranza, quel Vittore che rimase Belliniano - nel nome stesso e nel pennello - sino all'ultimo giorno della sua vita, provvedendo pure a completare diligentemente le opere rimaste incompiute alla morte del suo Maestro. E che qui a Conegliano avrebbe dovuto almeno per questo apparire con qualche suo lavoro, prendendo il posto magari di quelle pur suggestive quattro Teste virili, probabilmente di mano del Tintoretto, che chiudono l'esposizione; ma che con il raffinato cosmo del Giambellino non hanno proprio nulla a spartire.
La mostra, inaugurata il 25 febbraio, resterà aperta tutti i giorni - escluso il lunedì - sino al 18 giugno 2017. Orario continuato dalle 10 alle18 (nei week-end dalle 10 alle 20)