Cartoon e cinema muto, ma anche riferimenti all'arte e a tanto altro nello straordinario Flauto della Komische Oper di Berlino, uno spettacolo innovativo e da non perdere.
Il Flauto Magico è una delle opere più popolari del repertorio che offre per la sua natura “ambigua” - favola per bambini, opera massonica, féerie metafisica, Singspiel popolare- molteplici spunti e chiavi di lettura e non è un caso che negli ultimi anni quasi tutti i registi di riferimento della scena internazionale (da Carsen a Michieletto, da Mc Vicar a Simon Mc Burney, passando per la Fura e Peter Stein), si siano confrontati con il capolavoro mozartiano. Il Flauto magico è un’opera eterogenea a livello tematico ma anche musicale: un Singspiel dove numeri arie di bravura, canzoni popolari, pagine liriche si alternano a dialoghi recitati o parlati. Tale natura eclettica pone al regista interessanti sfide: valorizzare le contraddizioni o cercare una chiave per l’unitarietà? Se pur adotti una mescolanza di generi, il Flauto magico ideato dal collettivo britannico “1927”, ovvero Suzanne Andrade e Paul Barritt, in collaborazione con Barrie Kosky (il regista-sovrintendente della Komische Oper), è uno spettacolo di rara omogeneità dove il virtuosismo tecnologico delle proiezioni è perfettamente integrato con l’azione scenica.
Il risultato? Un cartone animato in cui personaggi reali e animazioni interagiscono in tempo reale, insomma una sorta di Mary Poppins riveduto e corretto.
Il fondo della scena ospita uno schermo gigante su cui vengono proiettati disegni che creano sotto i nostri occhi l’universo fantastico del Flauto magico in continua metamorfosi, i cantanti sono collocati davanti allo schermo, rivolti allo spettatore, su delle pedane situate ad altezza diversa e devono interagire, con una sincronia perfetta, con quanto proiettato dietro le loro spalle per dare l’illusione che immagine proiettata e azione scenica siano un tutt’uno. E’ la musica che guida i loro gesti, in quanto i personaggi non vedono cosa avviene alle loro spalle, ma si crea una relazione immediata fra azione recitata e proiezione (Papageno accarezza un gatto nero briccone che dà la caccia agli uccellini, Tamino tenta di scappare dalle zampe di ragno della Regina della Notte che lo tengono prigioniero, Monostatos tende la mano per tenere i lupi al guinzaglio che inseguono Pamina lungo le scale).
Assistiamo a uno spettacolo assolutamente nuovo dove proiezioni e performance si completano in modo simultaneo e moltiplicano le chiavi di lettura senza risultare mai di troppo. L’effetto ottico lascia senza fiato ma, oltre al virtuosismo tecnico frutto di lunghissime, prove si apprezza l’ironia, tutta mozartiana, che scaturisce dall’accoppiamento di gesti e animazioni. Geniale inoltre aver trasformato le lunghe parti dialogate proprie del Singspiel (che in sede di rappresentazione costituiscono un limite in quanto interrompono il naturale sviluppo drammatico e musicale) in un film muto: il parlato è sostituito da azioni mimate sulla scena integrate da testi proiettati in bianco e nero e il sonoro è affidato ad una fantasia di Mozart suonata al pianoforte (fuori campo come avveniva all’epoca del film muto) che costituisce un tessuto connettivo ideale.
Alla mescolanza di “toni” propria del Flauto magico si aggiunge una mescolanza ragionata e omogenea di “generi“. Lo spettacolo s’ispira al cinema muto anche per la gestualità e il trucco degli interpreti: da Buster Keaton, che ritroviamo nella mimica impacciata e quindi buffa, di Papageno, ma anche nell’aria stralunata di Tamino dal volto cereo, alla Louise Brooks di Pamina, all’espressionismo horror di Murnau declinato in chiave comica con un Monostatos-Nosferatu che tiene al guinzaglio ombre cinesi ovvero lupi mannari. Ma dal cinema è un attimo passare alla rivista e al burlesque: i lupi vengono ammansiti dalle note del flauto e prendono gambe di ballerine (e pure Monostatos!) e scatta un universo di citazioni (siamo a Berlino) con i cabaret berlinesi visti con gli occhi dell’espressionismo tedesco di Grosz e Dix, per non parlare dei sexy elefantini rosa che sguazzano nelle coppe da champagne per evocare il sogno d’amore di Papageno. Immagine quest’ultima incongrua e pertinente perché capace di evocare associazioni di temi e generi, dall’esotismo insito nel Flauto Magico alla citazione del Dumbo disneyano. E qui c’è tanto cartoon, da Dumbo a Trilly (che impersona il Flauto magico), ai cuori da fumetto, rossi e pulsanti, che le tre dame inviano a Tamino per rianimarlo salvo poi farli scoppiare stizzite. L’impronta anglosassone del collettivo si coglie nella grafica dark che privilegia il bianco e nero e toni scuri virati al seppia con animali grotteschi e stilizzati che ricordano le atmosfere gotiche dei cartoni di Tim Burton.
Lo spettacolo privilegia l’aspetto visivo e inevitabilmente la componente musicale passa in secondo piano. Il direttore principale della Komische Oper Henrik Nanasi offre una lettura ritmata e avvincente della partitura che fa da supporto ma non assurge a ruolo di protagonista e si ravvisano imprecisioni nell’impasto orchestrale.
Tutti gli interpreti appartengono all’ensemble del teatro e si distinguono, oltre che per doti sceniche, per musicalità e coordinazione. Quella che ci è piaciuta di più è stata la Pamina di Nicole Chevalier, dalla voce lirica ben emessa ed una linea di canto morbida giusta per il personaggio. Tamino è Adrian Strooper dalla voce chiara e un canto elegante che si addice ad un eroe nobile. Buoni doti attoriali e musicali per Dominik Köninger, un Papageno che fa ridere per come corre da fermo e le smorfie da cinema muto. Corretta, ma non spettacolare come il ruolo vorrebbe, la Regina della Notte di Danae Kontora.
Il personaggio di Papagena è stato affidato ad una cantante giovane, Talya Lieberman, che ha dimostrato buon affiatamento con Papageno. Thorsten Grümbel è un Sarastro dalla voce profonda, ma non sempre a fuoco, forse perché raffeddato. Peter Renz è un Monostatos grottesco e nero, la voce è sonora, ma talvolta un po’ troppo sopra le righe. Divertenti e ben assortite e vocalmente inappuntabili, le tre dame Adela Zaharia, Katarzyna Wtodarczyk e Caren van Oijen. Concludono il cast i tre fanciulli interpretati con precisione dai solisti del Tölzer Kanbenchor .
Una tale fantasmagoria di immagini e musica è impossibile da descrivere, diciamo solo che il tempo della rappresentazione vola e che ogni istante è perfetto. Tantissimi applausi per uno dei migliori Flauti magici possibili, di cui si consiglia a tutti la visione.