Teatro

Berlino, La sagra della primavera

Berlino, La sagra della primavera

Berlin, Staatsoper im Schiller Theater, “Sacre – Ein Abend in drei Teilen”

Sacre Waltz, Waltz sacra

Ritorna alla Staatsoper Sacre, una serata in tre parti ideata dalla coreografa Sasha Waltz per la sua compagnia “Waltz & Guests” dedicata alla Sagra della Primavera di Strawinsky di cui  si è  appena festeggiato il centenario della creazione sulle principali scene europee con nuovi allestimenti. Le “Sacre” è il punto di forza del programma e dà il titolo a uno spettacolo variegato che prevede anche coreografie su musiche di Debussy e Berlioz. La produzione aveva debuttato l’anno scorso riscuotendo grande interesse e anche la riproposta continua a fare il tutto esaurito che accompagna, soprattutto a Berlino, ogni creazione della coreografa di riferimento della scena tedesca.

Il primo pezzo è L'après-midi d’un faune di Claude Debussy ispirato al poema di Mallarmé  in cui un fauno descrive fra sogno e desiderio un pomeriggio trascorso ad amoreggiare con le ninfe. In un contesto scenico decisamente variopinto, uno sfondo patchwork formato da grandi inserti geometrici dai colori accesi e brillanti, un fauno osserva in disparte le scaramucce amorose di ballerini in coloratissimi costumi da ginnasti. Il balletto è focalizzato più che sul fauno sulle scene collettive che disegnano sulla scena  costellazioni atletiche “a grappolo”, leve corporee e convulsi abbracci dove momenti di languore esplodono in frenetici schizzi sincopati. Si avverte il segno della Waltz nella logica di gruppo e nella disposizione dei danzatori nello spazio ma  la coreografa sembra limitarsi a illustrare anzichè interpretare la situazione.

Risulta pertinente abbinare L'après- midi d’un faune al  Sacre du printemps dato che  hanno entrambi segnato una svolta “scandalosa” nella storia della danza classica ma non convince l’inserimento nel programma della scena d’amore tratta dalla sinfonia drammatica Roméo et Juliette di Hector Berlioz dove Sasha Waltz fa un omaggio dichiarato alla danza classica con una coreografia tutta giocata su dolci abbracci e volteggi aerei lungo la diagonale della scena. I due innamorati (Emanuela Montanari e Antonino Sutera) danzano a piedi nudi, unica concessione “moderna” di un balletto decisamente tradizionale e ripetitivo, tanto che si avverte fra il pubblico una certa impazienza.

Ma dopo le cover arriva finalmente l’hit e  ripaga l’attesa. Nell’affrontare  “le Sacre“ Sasha Waltz si muove nel solco di Pina Bausch di cui ritroviamo – come se fossero stampati in una memoria involontaria - i movimenti iterati, le linee curve disegnate dai corpi e dagli arti in attitudine sacrificale, il ruolo motrice affidato alle figure femminili.
Nella scena desolata e “invernale” avvolta in spesse brume grigie si materializzano i corpi dei danzatori e una lama di rame, spada di Damocle fisica oltre che metaforica, punta verso il basso alla ricerca di una creatura da sacrificare. Al centro del palcoscenico c’è un cumulo di detriti ferrosi, le macerie del lungo inverno che i movimenti dei ballerini tendono a disperdere sul palcoscenico con moti centrifughi. La coreografa mette in scena una comunità marcatamente multietnica e variegata formata da una trentina di danzatori (fra cui compaiono anche due bambini per  amplificare il senso di collettività) che s’intersecano nello spazio con una fisicità tesa e prorompente. Si coglie un’opposizione “ancestrale” maschile/femminile nella disposizione dei gruppi che si fronteggiano nello spazio come le bande rivali di West side story, si scontrano, corrono, battono ritmicamente i piedi, creando delle costellazioni di movimenti colte nel loro farsi e disfarsi, sempre diverse e al tempo stesso dai tratti geometrici simili, come fiocchi di neve. Incanta  il virtuosismo del disegno coreografico, sempre elegante e preciso, nel raffigurare l’arcaico come nei momenti di massima esplosione. I ballerini a torso nudo  ruotano saltellando  in modo sincopato coi  volti scolpiti nel dolore e le mani tese verso l’alto mentre le donne si tendono in sentiti abbracci, espressione dei valori femminili di solidarietà e comprensione che la Waltz sottolinea particolarmente. Dopo averci condotto con giusta suspense su false piste, ci svela alla fine la vittima sacrificale: l’eletta indossa dapprima una tunica viola, macchia di colore acceso presaga della primavera che contrasta con le tinte naturali e terrose che caratterizzano gli altri costumi, poi si denuda completamente davanti al gruppo che compatto si ripiega su se stesso fino ad appiattirsi al suolo e inizia una danza vorticosa e indemoniata il cui fulcro è costituito dalla spada di rame. L’eletta in un ultima frenesia vitale si rotola nuda fra i detriti ferrosi e, dopo essersi rialzata, si  inarca allo spasimo in una sorta di crocifissione aerea per schiantarsi a terra nel climax sonoro.

Nel 2013  Daniel Barenboim aveva curato la direzione musicale (e anche la concezione del programma congiuntamente a Sasha Waltz), la cui ripresa è ora affidata a Domingo  Hindoyan. La direzione è assolutamente funzionale alla coreografia nella scelta dei tempi  e dello progressioni sonore ma al puro ascolto non risulta particolarmente differenziata a livello timbrico e nel Sacre sono poco valorizzate quelle sottigliezze di scrittura che sono la cifra della modernità della composizione di Strawinsky.

Prevedibili ma sempre estremamente entusiastici gli applausi alla fine.