Trionfa a Berlino la nuova produzione dell'opera di Shostakovitch, ambientata in un'isola del nord Europa nel mondo della produzione del merluzzo
Berlino, Deutsche Oper, “Lady Macbeth von Mzensk ” di Dmitri Schostakowitsch
Dannati merluzzi
La Lady Macbeth von Mzensk, composta da Schostakowitsch nel 1934, è, al pari di Wozzeck e Peter Grimes, uno dei capolavori del Novecento; dopo che l’esule Rostropovich la fece conoscere in occidente con una mitica registrazione alla fine degli anni Settanta, occupa un posto stabile nella programmazione dei principali teatri internazionali.
Alla Deutsche Oper di Berlino l’opera è stata scelta come prima nuova produzione dopo la pausa per ristrutturazione in un allestimento coprodotto con l’opera di Oslo, dove ha debuttato il settembre scorso.
Norvegese l’ambientazione di Ole Tandberg Anders che traspone la vicenda dalla Russia zarista a una desolata isola del nord dove la famiglia Ismailov controlla il mercato del pesce anziché quello del grano. La scena girevole di Erlend Birkeland vede uno scoglio nero dominato da una casetta di pescatori dalle pareti di eternit che, nella rotazione, mostra la facciata o il suo nudo interno che funziona da abitazione e da manifattura del pesce. La protagonista canta la sua solitudine mentre vaga sull’isola con gli stivali di gomma sulle gambe nude e sulla camicia da notte un piumino turchese, un cielo nero e nuvoloso proprio di un nord estremo ne accentua l’isolamento e il continuo ruotare della piattaforma sottolinea una situazione senza scampo. Dal suo primo apparire Katharina ci appare dura e fredda come la pietra che calpesta, vittima di un ambiente e delle circostanze. Grandi pesci di plastica maneggiati senza sosta da coro e personaggi sono la cifra dell’allestimento; data la forte allusività sessuale insita nella partitura di Schostakowitsch, funzionano come simboli sessuali rendendo particolarmente grottesca la sopraffazione: i lavoranti brutalizzano la cuoca e si masturbano a colpi di merluzzo, le operaie sfilano lungo la scena come fosse un siparietto da varietà facendo ondeggiare le code dei pesci in modo allusivo, i pesci fanno da giaciglio agli amplessi degli amanti che con un merluzzo danno il colpo di grazia al marito… La loro presenza, se pur invasiva, conferisce giusta connotazione grottesca, iperrealistica e “a pelle” sgradevole del brutale contesto, inoltre funzionano come metafora dei soldi e del potere degli Ismailovi.
Tandberg Anders mette in scena nei momenti clou una banda di quattordici suonatori vestiti da donne con parrucche bionde che creano un secondo piano narrativo surreale e onirico: durante l’amplesso si dispongono vicino agli amanti per enfatizzare la “pornofonia” musicale e alla fine si accasciano spompati come gli amanti; la banda irrompe sulla scena col suo suono caratteristico per sottolineare gli snodi del destino, ma anche per enfatizzare un senso di sopraffazione. Che, come sostiene il regista, le figure dei suonatori-majorettes possano stimolare in Katharina ricordi associati alla pubertà ci sembra però una forzatura.
L’opera alterna momenti lirici, drammatici, grotteschi e anche satirici, fra tutti la spassosa scena nel distretto di polizia di cui Shostakovitsch fece un ritratto talmente fulminante e impietoso da valergli le ire di Stalin e il bando della censura. Qui sul proscenico entrano in scena i poliziotti in camicia e mutande con assi e ferro da stiro per stirare l’uniforme e, mentre si lagnano del lavoro noioso e mal pagato, puntano gli assi da stiro verso il pubblico come fossero falli o mitragliatrici in una coreografia esilarante. Si tocca poi l’epopea nella lunga marcia verso la Siberia dei deportati seminudi che girano intorno alla piattaforma petrosa che ruota a sua volta ineluttabile. Della casa sono rimase solo le fondamenta, da cui vigila un guardiano con un cane lupo; luci crude (efficaci le luci espressioniste di Ellen Ruge) illuminano quasi a squarciarle le carni dei forzati che si buttano (come prima i pesci) sulle pietre per un bivacco e non si può rimanere insensibili alle sorti di un popolo oppresso ridotto in mutande, canotta e reggiseno. Non riuscendo a sopportare lo scherno e il tradimento dell’amante, Katharina, dopo aver rigirato a lungo una corda fra le mani come in uno stato di trance, strangola la rivale.
Evelyn Herlitzius è assoluta protagonista: la sua Katharina è fin dall’inizio inaridita e trasuda una rabbia compressa che esplode nell’amplesso o nell’omicidio; con lo sguardo fisso, la voce cupa dagli accenti nervosi e febbrili non sembra cercare la nostra compassione: è troppo tardi, la sua miseria è irreversibile e oggettiva e il senso di colpa la paralizza o le infligge tremiti convulsi. La Herlitzius ha una presenza scenica fortissima e, seppure abbia nel registro centrale il suo punto di forza, ha pieno controllo di tutta la tessitura e gli acuti suonano penetranti.
Un plauso a John Tomlinson che conquista per la voce sempre sonora e possente, qui funzionale ad esprimere la protervia del dispotico suocero; il suo Boris è una presenza che catalizza l’attenzione nella prima parte dell’opera, padre-padrone meschino che trasuda violenza mentre si aggira per la scena come un cane da guardia senza mai mollare due pescioni (a meno che non debba impugnare la frusta). Maxim Aksenov è un Serghej ideale per la fisicità sensuale e animalesca che emana in canotta bianca e pantaloni di gomma nera e la voce tenorile sfrontata regge bene lo slancio e i passaggi più impervi; il personaggio è superficiale e opportunista e dal suo primo apparire s’intuisce l’errore fatale di Katharina. Thomas Blondelle è il marito Sinowi, effemminato e rammollito in giacca e cravatta e la chiara voce tenorile poco caratterizzata si confà al personaggio debole e indeciso. Nadine Secunde è la cuoca Aksinja, seviziata a colpi di merluzzo. Dana Beth Miller è una Sonietka volutamente volgare dalle forme felliniane e voce grave altrettanto importante. Ben curati i numerosi ruoli minori a partire dal tonante Pope di Tobias Kehrer e del vecchio balordo di Edward Mout. Mathhew Pena dà voce al maestro e all’ubriaco, Noel Bouley interpreta il sergente, il contadino ciencioso è Burkhard Ulrich. Forte rilievo ha, anche per meriti vocali, il capo della polizia di Seth Carico. Commovente il canto del Vecchio forzato di Stephen Bronx.
In sintonia con la regia, Ronald Runnicles offre una direzione intrisa di cupo pessimismo che riconduce anche i momenti di effusione lirica a uno stato di fredda nevrosi, un pessimismo senza scampo carico di violenza espressionista che esplode nel lancinante grido finale di Sonietka. La lettura sempre tesa sul piano narrativo è supportata da un’orchestra particolarmente mobile capace di repentini cambi di registro. Ben integrata la banda nell’impasto orchestrale.
Un plauso alla prova del coro diretto da William Spaulding, efficace nel restituire la necessaria varietà vocale e scenica con picchi di emozione durante il cupo canto dei deportati intriso di toccante lirismo.
Grande successo, teatro quasi esaurito e calorosi applausi per tutti alla fine.
Dopo un capolavoro tragico del novecento russo la prossima nuova produzione della Deutsche Oper sarà all’insegna del sorriso con La rondine di Puccini (in scena dall'8 marzo).
Visto a Berlino, Deutsche Oper, il 14/02/2015