Teatro

BRUXELLES, LA VESTALE

BRUXELLES, LA VESTALE

Luci e ombre per l'allestimento di Lacascade che propone una vicenda di emancipazione femminile nel difficile spazio del Circo Reale (La Monnaie è chiusa per lavori di restauro). Buona la direzione di Alessandro De Marchi nonostante la difficile posizione dell'orchestra.

La stagione lirica della Monnaie, ospite – a causa del restauro del Teatro Reale – del Cyrque Royale di Bruxelles, ha presentato la rara versione francese del capolavoro di Gaspare Spontini in una nuova produzione del regista Eric Lacascade realizzata nel 2013 per il Théâtre des Champs-Elysées e adattata all’angusto e anomalo spazio del Cyrque Royal. La Vestale vide la sua prima rappresentazione all’Opera di Parigi nel 1807, nel periodo di massimo successo del compositore marchigiano in quanto musicista alla corte imperiale e preferito dell’imperatrice Giuseppina.

Il regista rivede l’opera in un’ottica moderna che si realizza soprattutto nei costumi e nell’ambientazione in una visione abbastanza anticlericale – e piuttosto scontata – che però riprende l’idea spontiniana. Cantanti che escono dalla platea, che interagiscono al di fuori del palcoscenico, pochissimi ed essenziali elementi in scena, mancanza di ogni riferimento storico e geografico, la Roma che Lacascade presenta a Bruxelles è più immaginata che reale. Un’ambientazione cupa, in cui le Vestali sembrano marionette succubi della Grande Vestale e del Sommo Sacerdote di Vesta, con parrucche rosse e vestite di bianco a differenza del popolo e dei sacerdoti tutti vestiti di nero. Julia è una donna vittima, ma è al tempo stesso ribelle alla sottomissione degli uomini ma ancora di più alla sottomissione a un dio. In questa ottica Julia è portatrice di una emancipazione femminile e per questo viene, nel terzo atto, brutalmente picchiata dal popolo e dai sacerdoti, spogliata dell’abito bianco e della capigliatura rossa nel tentativo di omologarla. L’amore passionale e carnale che Julia ha vissuto con Licinio nel secondo atto ai piedi del fuoco di Vesta porterà questa donna a resistere a ogni tentativo di salvezza pur di non farsi piegare. Ecco che l’amore e la passione la portano all’emancipazione, riuscendo a scuotere, a far vacillare il potere religioso. L’oscurità, che arriva al suo massimo con lo spegnimento del fuoco sacro viene sconfitta dal finale lieto e di vittoria dell’amore.

La direzione del maestro Alessandro De Marchi, alla guida dell’Orchestra della Monnaie, presenta luci ed ombre. Ottima la riuscita nelle pagine liriche più spinte e più romantiche: uno Spontini intenso e drammatico, solenne e pulito. Il lato oscuro è nella scelta infelice – ma sempre a causa della posizione del Cyrque Royal - di posizionarsi di spalle al palcoscenico, col risultato che i cantanti risultavano spesso allo sbando e senza dubbio fonte delle diverse imprecisioni.

Per scelta registica e musicale i protagonisti rimangono cinque (scompare il Console e l’Aruspice). Nel ruolo di Licinio Yann Beuron presenta un personaggio deciso e ben determinato; la sua è una voce potente e adatta al personaggio per il tono caldo, l’espansione, il timbro bronzeo. Julien Dran in Cinna convince per la sicurezza e il buon fraseggio. Il basso Jean Teitgen ha tutte le qualità per essere un ottimo Souverain Pontife, ieraticità, solennità, autorevolezza, e non per ultimo una bella voce profonda e piena; una delle migliori voci della serata. Alexandra Deshorties riveste il ruolo della protagonista, Julie la Vestale; senza dubbio la caratterizzazione registica del personaggio penalizza la Deshorties che si è sempre segnalata per l’alta qualità delle sue interpretazioni ma qui la prova non è pienamente brillante, anche se la bella voce e la grande professionalità sono emerse sempre, come il buon fraseggio e la dinamicità vocale. La Grande Vestale di Sylvie Brunet-Grupposo è incisiva e convincente; possiede mezzi vocali di tutto rispetto e li esplicita in modo egregio riuscendo a dare una interpretazione densa e intensa.
Molto bravo il coro del Le Monnaie, diretto dall’impareggiabile Martino Faggiani, qui affiancato dai membri dell’Accademia del coro del medesimo Teatro: una interpretazione incisiva e vibrante, grazie anche ad una preparazione canora e recitativa notevole.