Teatro

Bruxelles, Les Huguenots

Bruxelles, Les Huguenots

Bruxelles, théâtre de La Monnaie, “Les Huguenots” di Giacomo Mayerbeer

LA CROCE COME ARMA

Il teatro Reale di Bruxelles ha allestito una sontuosa rappresentazione de Les Huguenots, opera in cinque atti di Giacomo Mayerbeer (1791 – 1864) su libretto di Eugène Scribe. Il compositore tedesco viene giustamente considerato uno dei principali rappresentanti del grand–opera francese, in voga nella metà dell’Ottocento, genere che nasce dalla esigenza di soddisfare gli spettatori intrattenendoli con un’opera lunga, complessa, spesso di carattere storico e nel cui interno vi compare un po’ di tutto, compresi i balletti e in cui le grandi scene corali sono predominanti. Indubbiamente un gusto che ha conosciuto tempi migliori e che, anche a causa delle grandi masse in scena e delle grandi scenografie richieste, ha visto un lento e inesorabile declino nell’era moderna. Il dopo Mayerbeer ha visto via via lo sviluppo dell’opera francese verso una situazione più intima, carattere che ha orientato poi anche l’opera negli altri paesi.

Les Huguenots, andò in scena per la prima volta nel 1836 all’Opéra di Parigi, tempio per decenni di questo genere operistico, e il successo fu tale che raggiunse in breve tempo le mille rappresentazioni ed ebbe una rapida diffusione in Europa e nelle Americhe. La vicenda prende spunto dalla strage della notte di San Bartolomeo, 23 agosto 1572, in cui le armate reali francesi uccisero un migliaio di calvinisti (detti Ugonotti), rei di un presunto colpo di stato a danno della dinastia Valois. Il fatto divenne poi una bandiera dell’anticlericalismo ottocentesco che trasformò l’evento in una guerra tra cattolici e protestanti. La trama si innesta perciò in questo contesto e vede come protagonista l’ugonotto Raoul che si innamora di Valentine, figlia del cattolico conte de Saint-Bris, sposa del conte di Never. Nell’opera compare anche Marguerite de Valois, regina di Navarra, con un ruolo molto espressivo e passionale. La vicenda d’amore tra i due protagonisti, contrastata dagli eventi e dalle circostanze, vedrà il suo culmine quando, ucciso il conte di Never, Raoul e Valentine verranno uniti in matrimonio da Marcel, soldato ugonotto fedele servo di Raoul, forse il personaggio più importante dell’opera, per la sua connotazione psicologica e il suo valore musicale; Marcel incarna la forza delle proprie convinzioni morali e religiose nonché la fedeltà agli ideali religiosi. Valentine, abiurata la sua fede cadrà nel massacro, insieme a Raoul e Marcel, per mano di suo padre, il conte di Saint-Bris.
I personaggi de Les Huguenots, esistono semplicemente in funzione del loro contesto storico, come individui annientati da forze che sfuggono al loro controllo. La tensione emotiva però ha un incedere incalzante, partendo dal secondo atto in poi, fino a sciogliersi nella finale scena del massacro.

Il Teatro de La Monnaie, in coproduzione con l’Opera del Reno, ha affidato la regia a Olivier Py, che ha creato uno spettacolo visivamente ed emotivamente passionale e a volte crudo in una sensualità senza veli. L’idea di fondo di Py, come si evince anche dalla scena aperta all’ouverture, è che la croce, in mano a un fanatico, non è più lo strumento di fede e redenzione dell’umanità, ma un’arma. Una croce che diventa doppia e segnerà sempre i momenti tragici della vicenda. La scena, realizzata da Piérre-André Weitz, si presenta per tutta l’opera come un palazzo di ferro, nero e massiccio, come potrebbe essere il Louvre, con pannelli e scale amovibili e da entrambi i lati delle terrazze chiuse, dove l’intrigo appare nel suo celato nascondiglio.
Py rivela ottime idee, ma sembra far fatica a metterle in pratica, allineando cliché drammaturgici e visivi già sfruttati ampiamente. Uno per tutti è la trasformazione degli ugonotti nell’ultimo atto in ebrei condotti al massacro e i cattolici in nazisti con tanto di fascia al braccio. Una difficoltà è nel differenziare per lo spettatore i cattolici e gli ugonotti, perchè solo verso la fine vengono differenziati dai costumi, opera sempre di Weitz: i cattolici con giustacuore dorato e gorgiera, i protestanti completamente di nero. Nello stesso tempo si deve osservare una certa difficoltà nel gestire le masse. Interessante la figura muta di Caterina de Medici che domina alcune scene, già Mayerbeer avrebbe voluto inserirvela come personaggio, ma la censura dell’epoca lo proibì.
Indubbiamente il primo e il secondo atto sono quelli che maggiormente sono stati delineati egregiamente e sono stati gestiti con armonia ed eleganza. Soprattutto la scena del bagno di Marguerite de Valois è di grande effetto visivo, accentuando la sensualità e la passione erotica della regina e delle damigelle (prendendo evidentemente spunto dal film La reine Margot).
Le luci di Betrand Killy hanno dato alla scena un effetto molto lugubre e in alcuni casi (atto finale) drammaticamente angoscianti, con le lampade al neon nella scena completamente vuota.

Abbiamo potuto ascoltare il secondo cast, che ha dato un’eccellente prova. Senza dubbio la voce migliore della serata è stata il soprano Henriette Bonde-Hansen, ottima coloratura e grande presenza scenica, che ha reso splendidamente il ruolo di Marguerite de Valois. Brava anche Ingela Brimberg, nonostante qualche incertezza, per la melanconica e passionale Valentine. Il paggio Urbain è stato interpretato dal soprano Blandine Staskiewicz, ottimo per brio nella parte scenica, non altrettanto vocalmente. Il tenore americano John Osborn ha rivestito il difficile ruolo di Raoul de Nangis; una parte veramente ostica, lunga e con arie non facilmente realizzabili; Osborn si è rivelato all’altezza, dando una prova eccellente con voce chiara e sicura, che sale all’acuto senza difficoltà e con armonia. Ottima prova anche per il basso François Lis, in Marcel, una voce profonda e passionale per un personaggio altamente ieratico ed elegante. Stesso giudizio positivo per Jean-François Lapointe nel conte di Never. Ricordiamo anche la prova discreta di Philippe Rouillon nel conte di Saint-Bris. Tra i moltissimi comprimari citiamo per la buona esecuzione: Arnauld Rouillon (De Retz), Xavier Rouillon (Cossé), Marc Labonnette (Thoré) e Frédéric Caton (Méru).
Buona la prova del Coro del Teatro La Monnaie, diretto dal maestro Martino Faggiani.

La direzione del maestro Marc Minkowski, alla guida dell’Orchestra sinfonica del La Monnaie, è stata epica. Una direzione che ridato smalto e splendore a un’opera incrostata da decenni di “abusi” musicali, rendendo perfettamente una difficile partitura, non indugiando sull’effetto ma sulla sostanza de Les Huguenots, direzione equilibrata, attentamente sfumata che ha accompagnato armonicamente il canto dei solisti, mai coprendoli e rendendo un’unità strutturale omogenea.

In un teatro esaurito alla settima rappresentazione, il capolavoro di Mayerbeer ha rappresentato una svolta nella scena dell’opera europea: il grand-opera non è morto ma può trovare una sua degna collocazione nel XXI secolo. Applauditissimo il cast e in modo particolare ovazioni, anche a scena aperta, per il maestro Minkowski.

Visto a Bruxelles, théâtre de La Monnaie, il 24 giugno 2011

Mirko Bertolini