Teatro

Casa di bambola: melodramma in atto unico

Casa di bambola: melodramma in atto unico

Casa di bambola di Henrick Ibsen, nell'adattamento di Emanuele Aldrovandi e per la regia di Sandro Mabellini, giunge alla sua prima nazionale all'interno della rassegna Fringe del Napoli Teatro Festival Italia 2015.

Casa di bambola di Henrick Ibsen, nell’adattamento di Emanuele Aldrovandi e per la regia di Sandro Mabellini, giunge alla sua prima nazionale all’interno della rassegna Fringe (la sezione biennale dedicata alle compagnie indipendenti e autoprodotte) del Napoli Teatro Festival Italia - NTFI 2015.

Il noto dramma borghese ibseniano (in cui è narrata l’emancipazione di Nora, da capricciosa ed infantile mogliettina di Torvald a donna che criticamente mette in dubbi il preconfezionato matrimonio e volontariamente abbandona il nucleo familiare per ricercare la propria individualità) per mano della riscrittura di Aldrovandi, è contemporaneizzato. Con semplicità ed equilibrio, adottato un lessico corrente, snellendo e dinamicizzando la dialettica tra i personaggi. L’autore dell’adattamento spinge, senza eccessi, sulla carnale attrazione tra marito e moglie, senza che questo diventi la chiave per spicciole letture psicanalitiche di genere o, peggio ancora, mezzo per turpiloquio e pornografia d’avanguardia. Come nell’opera originale il testo resta privo di un ideologia (femminista in primis) e resta vibrante nella volontà di far partecipi gli spettatori di un dramma, che prima d’essere di genere, è umano: l’identità femminile in un mondo fatto ad immagine di maschio.

L’allestimento di Mabellini conduce lo spettatore ad accomodarsi in sala portando gli uomini nella porzione sinistra della sala e le donne nella restante parte destra. Tale suddivisione permane determinata anche sul palcoscenico dall’adozione di un nastro bicolore che lo attraversa fino al fondo. Ed è così che i protagonisti (e loro malgrado gli spettatori divisi anche nella lunga attesa dell’inizio) restano confinati nelle loro rispettive porzioni di spazio sino all’epilogo. Solo alla comparsa in Nora di quell’anelito di libertà identitaria, la sottile linea bianco-rossa che li (ci) divide, salta; la crisi centrifuga le loro essenze, molecolarizzando con più forza le loro identità. Inoltre, la regia dispone che sia la platea il principale spazio scenico in cui si muovano l’amica della protagonista, Karsten, e lo strozzino, Krogstad. Scelta quest’ultima (si pensi dunque che la protagonista si troverà a rivolgere verso la platea, le battute per Karsten e Krogstad) che accentuata l’apertura del narrato da una dimensione locale ad una globale.

In sintesi, scelte elementari che in maniera distinta enfatizzano l’idea registica senza pregiudicare l’idea drammaturgica originale. Diversamente si giunge, senza troppe remore, ad un eccessivo uso di inserti musicali. Oltre alle modeste performance canore/strumentali, la chiusura melodrammatica (con Nora gorgheggiante allodola – così come dal maschilista vezzeggiativo retrivo usato da Torlvald) si accascia sul finale, eccessivamente manierata e tragica. Un lavoro dalla resa, nel suo complesso, non constante e che guadagna meriti grazie alla buona prova di Valentina Cardinali (Nora) e Marco Bellocchio (Krogstad).