Teatro

Catania: Il berretto a sonagli o di una commedia nata e non scritta

Catania: Il berretto a sonagli o di una commedia nata e non scritta

Nella complessità dell'universo drammaturgico pirandelliano un posto a parte merita Il berretto a sonagli che l'autore di Girgenti scrisse dapprima in lingua siciliana per l'attore Angelo Musco con il titolo A birritta cu' i cianciareddi. Questa commedia in due atti che riprende le tematiche di due novelle scritte da Luigi Pirandello nel 1912: La verità e Certi obblighi, debuttò a Roma al Teatro Nazionale il 27 giugno 1917  messa in scena dalla compagnia teatrale di Angelo Musco (Catania 1871 – Milano 1937). Un posto a parte, dunque, per la duplice valenza teatrale nella quale si esprime la commedia: in carattere siciliano e successivamente in italiano. Infatti Pirandello ne terminò la versione in lingua nell'estate del 1918 e venne rappresentata il 15 dicembre 1923 al Teatro Morgana di Roma dalla Compagnia di Gastone Montaldi. Ma la memoria teatrale dell'epoca ricorda fortemente l'interpretazione dialettale di Angelo Musco e in seguito di Giovanni Grasso, l'uno artista dalla grande vena umoristica, interprete di indole orgiastica, dionisiaca, multiforme nei suoi trasformismi che in una lettera a Martoglio affermava:  quando mi portano un lavoro, mi portano una stoffa. Sono io che ci faccio un abito per me. Tornasse dall’altro mondo a portarmi uno scampolo la buon’anima di Giovanni Verga, io lo ritaglio, lo cucio, ci faccio il bavero, le tasche e le maniche, me lo infilo, e ci metto il fiore all’occhiello: ecco !, l'altro discendente da una famiglia di pupari e veemente nella sua vena drammatica.
L'interpretazione di Angelo Musco è scritta nella storia del Teatro italiano anche se conflitti nacquero subito con Pirandello che Musco chiamava "professore". C'erano diverse aspettative, in realtà, Angelo Musco voleva sottolineare un aspetto brillante del personaggio dello scrivano Ciampa e allegerirlo da molte speculazioni introspettive, invece Pirandello era già proteso verso la seconda fase del suo teatro che, allontanandosi dal naturalismo, affondava nelle certezze della borghesia incrinandone tutti i dogmi attraverso la complessità dei personaggi. Introducendo il concetto  relativistico della realtà (ipotizzando che ogni essere umano ne possa esercitare una diversa dall'altra a suo piacimento), rovesciando modelli usati di comportamento, intendeva enucleare la verità unica della vita che è quella che si esprime al di là della maschera che indossiamo quotidianamente pur di vivere.
È precedente a quell'epoca e rivelatrice una sua affermazione contenuta in una lettera ai familiari del 1887: Oh, il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi senza provare una viva emozione, senza provare una sensazione strana, un eccitamento del sangue per tutte le vene. Quell'aria pesante chi vi si respira, m'ubriaca: e sempre a metà della rappresentazione io mi sento preso dalla febbre, e brucio. È la vecchia passione chi mi vi trascina, e non vi entro mai solo, ma sempre accompagnato dai fantasmi della mia mente, persone che si agitano in un centro d'azione, non ancora fermato, uomini e donne da dramma e da commedia, viventi nel mio cervello, e che vorrebbero d'un subito saltare sul palcoscenico. Spesso mi accade di non vedere e di non ascoltare quello che veramente si rappresenta, ma di vedere e ascoltare le scene che sono nella mia mente: è una strana allucinazione che svanisce ad ogni scoppio di applausi, e che potrebbe farmi ammattire dietro uno scoppio di fischi!
Ma per quanto lo spettacolo abbia un discreto successo sono ancora lontani i tempi delle affermazioni pirandelliane di vasta portata che condurranno lo scrittore drammaturgo siciliano al premio Nobel del 1934. Agli albori il suo teatro è appena ben visto dal pubblico e la critica non è molto favorevole. Scrive Silvio D'Amico nella prefazione al volume primo di Maschere Nude (Mondadori, Milano, 1958): "Infine nel 1921 scoppiò la bomba con Sei personaggi in cerca d'autore: che fischiatissimo a Roma, indusse però i critici fino allora restii, o semplicemente perplessi, a un esame di coscienza, donde almeno alcuni proprio in Roma giunsero ad una vera e propria rivelazione. Sono della fine di (ottobre novembre 1921) gli articoli e saggi e conferenze in cui più d'uno fra essi, correggendo le antiche convinzioni o addirittura capovolgendole propose ai propri lettori e ascoltatori la "scoperta" di Pirandello, l'illustrazione della sua ideologia, del suo significato, del suo stile, della sua arte: riconoscendone la singolarissima importanza e diciamo pure grandezza, quale annunciatore nella scena italiana ed europea d'un verbo nuovo."
Ed infatti le tematiche che l'autore enuncia lasciando dapprima perplessi pubblico e critica sono oggi ancora di grande attualità (l'incomunicabilità fra gli esseri umani, lo smascheramento della verità, ecc.) e sono alla base del teatro moderno. Ma tornando al Berretto a sonagli la cui trama ruota intorno ad una storia di tradimenti e di follie (famosa la battuta di Ciampa a Beatrice, moglie del suo datore di lavoro che sospetta di una relazione del marito con la moglie di Ciampa: Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa. La seria, la civile, la pazza. Soprattutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui ci sta qua, in mezzo alla fronte. Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati. Non si può. E che faccio allora? Do' una giratina così alla corda civile. Ma può venire il momento che le acque si intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, per rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo lavista degli occhi e non so più quello che faccio!, Pirandello ne scrive dapprima in siciliano avendo come modello la società siciliana dell'epoca, il suo ceto borghese.
"Oltre il fatalismo pessimistico della commedia, che è poi la traduzione in termini esistenziali del lento sviluppo (tanto da sconfinare in un apparente immobilismo) di quella società (e come tale il sentimento è tipico di tanta parte degli intellettuali siciliani, da Verga a Tomasi di Lampedusa), Pirandello non può andare e non va." (Guido Nicastro, Teatro e società in Sicilia, Bulzoni, Roma, 1978).
Quindi al di la delle tematiche appena descritte la commedia nella sua intima anima siciliana - anche quando Pirandello ne fa la versione italiana che è quella che rimarrà nelle rappresentazioni a venire -  esprime un modo caduco di intendere la vita, una contemplazione del disfacimento di una epoca anticipatrice di quella indole gattopardesca enucleata da Tomasi di Lampedusa, dettato proprio dagli umori dalla sua terra siciliana. Cosi questa duplice versione linguistica della commedia, ha grande rilevanza perchè connota le radici pirandelliane che  affondano nella cultura dell'assolata Sicilia.
Le successive fortune della commedia risentono di grandi interpretazioni, tra i primi Eduardo De Filippo che ebbe il permesso dallo stesso Pirandello di trascriverne una versione in napoletano e poi i grandi interpreti siciliani, legati per nascita e per legami teatrali alla città di Catania e al suo Teatro Stabile ( ma poi tutta la Sicilia ha dei legami fortissimi con le rappresentazioni pirandelliane) e fra tutti occorre sottolineare le intepretazioni dello scrivano Ciampa da parte di Salvo Randone e di Turi Ferro. Due mondi teatrali di valenza diversa ma di grande impatto scenico. La versione di Randone analitica, diremo quasi geometrica, che ritrova il mondo speculativo e filosofico del drammaturgo, mentre quella di Turi Ferro più terragna, umorale che  si riconnette, appunto, a quelle radici, a quel mondo quasi ascoso, sotterraneo inerente la matrice siciliana della drammaturgia di Pirandello. Per una commedia  "non costruita affannosamente e non faticosamente, ma venuta di getto in meno di sette giorni: nata e non scritta", così Luigi Pirandello definì il suo Berretto a Sonagli.