Il lavoro belga della compagnia Charleroi Dances inaugura i palcoscenici della nuova edizione del Festival.
«Lascia ch'io pianga
mia cruda sorte,
e che sospiri
la libertà.
Il duolo infranga
queste ritorte
de' miei martiri
sol per pietà»
Il primo sguardo su Kiss&Cry, può cominciare dall'ascolto: la fin troppo celebre aria per soprano di Georg Friedrich Händel padroneggia la scena e non una sola volta, lasciando spazio alla prima riflessione. Nella sua versione più famosa, questa melodia corrisponde alla versione contenuta nel secondo atto del Rinaldo (1711), affidata ad Almirena, con un Largo in fa maggiore, violini e basso continuo; nel tempo, diciamo anche che si è trasformata in un elemento osiamo dire salottiero, essendo una esecuzione stabilmente affermatasi soprattutto come pezzo da concerto, di cui infatti si conoscono numerose incisioni, ed essendo apparsa anche in una certa quantità di lavori cinematografici. Questo aiuta a valutare la presenza di alcuni tratti romantici costruiti con senso a volte un po' convenzionale, per un lavoro che conserva un senso interno di originalità soprattutto nella sua perizia tecnica e nelle trovate con cui vengono messi insieme teatro, danza, animazione e tradizioni che rievocano echi del teatro marionettistico orientale.
Un lavoro non nuovo, tuttavia, e la mancanza di questo elemento oggi si avverte: lo era semmai nel 2012, quando sono cominciate le sue giuste fortune, ma in seguito abbiamo visto nascere ispirazioni simili (fra tutte, di sicuro il Katastrophe dell'Agrupación Señor Serrano, apparsa nel 2014 al Festival 'Teatro a Corte' a Torino, e poi alla Biennale di Venezia), e probabilmente non risulta neanche tanto emozionante quanto invece avrebbe potuto, sebbene in alcune scene siano state create atmosfere di grande effetto (come il quarto amore su "Les feuilles mortes" di Yves Montand, ad esempio).
Il carattere di Kiss&Cry (il nome dato alla balaustra sulla quale i pattinatori dopo l'esibizione attendono il verdetto della giuria) sta nella prospettiva e nell'essenza: la prima, è quella che disvela in un unicum affascinante il lavoro integrale di ciascuna parte dello spettacolo simultaneamente, esibendo la tecnica utilizzata per costruirlo in maniera tale che essa stessa diventa spettacolo nello spettacolo; e l'essenza, nello spogliare appunto l'effetto finale nelle sue singole parti.
Alternando ancora "Gelido in ogni vena", l'aria del Farnace di Antonio Vivaldi, con «Nothing compares to you» ed una base di chitarra che a volte si fa perfino quasi ossessiva, si dipana la storia scritta da Thomas Gunzig, che narra di una vecchia signora, seduta sulla panchina di una stazione ferroviaria, che rianima nella sua memoria i ricordi dei suoi cinque uomini del passato, a partire, manco a dirlo, dal primo e straordinariamente fugace: soltanto tredici secondi di cui non ricorda null'altro che la mano che l'aveva sfiorata.
Quel ricordo genera l'intero spettacolo, poiché sono appunto soltanto le mani, a disegnare la traiettoria della sua vita, abilmente ed a volte virtuosisticamente agite nella coreografia di Michèle Anne de Mey e Grégory Grosjean -compagnia di danza del teatro Charleroi Danses- che intrecciano l'artificio e la delicatezza emotiva del racconto, nonostante alcuni periodi che si avvertono come un po' troppo allungati.
Un esperimento multidisciplinare che gioca con una ideale metonimia, affidando o alle dita il mondo emotivo e materiale dell'intero corpo, con cambi di scena molto precisi che mostrano mezzi ed oggetti umili che si trasformano incorporandosi nelle scene e nei contesti, e che consentono anche, ad uno sguardo più attento, di notare ciò che in questo, caso sovvertendo l'ordine delle cose, diventa un dettaglio secondario: i movimenti e la fisicità degli attori «veri», che nella penombra della scena occupata da tecnici e simulazioni della realtà, mostrano qualcosa che forse è la parte più intensa di ogni altra, poiché vi sono momenti in cui sia per ottenere gli effetti da proiettare sullo schermo, sia per loro naturale presenza, con il loro avvolgersi e sfiorarsi, con i loro gesti compongono un (invisibile) aura di movimenti al di fuori delle inquadrature, come dei sensuali 'dietro le quinte' appassionati che accompagnano le idee, ed a volte anzi sopravanzano il risultato dello spettacolo, congiungendosi al movimento stesso del racconto ("la bocca colma di una alta marea dove galleggiano i resti della tempesta...").