Teatro

Crivelli e Brera

Crivelli e Brera

Quasi coetaneo di Bellini e Mantegna, Carlo Crivelli nacque a Venezia intorno al 1430; lasciò il Veneto nel 1458 diretto in Dalmazia, quindi soggiornò nel Piceno (prime opere i polittici di Massa Fermana e Porto San Giorgio) e si stabilì prima ad Ascoli e poi a Camerino all'inizio degli anni Ottanta del Quattrocento; morì tra il 1494 e il 1495 nelle Marche. Ancora oggi la sua pittura è sconcertante, non etichettabile semplicemente come gotica o rinascimentale: le sue macchine d'altare, enormi e rutilanti di ori, presentano impeccabili prospettive, dettagli verissimi e commoventi, inserti tridimensionali e, soprattutto, Madonne eleganti ed altere come regine. La mostra “Crivelli e Brera” conclude le celebrazioni per il bicentenario della pinacoteca di Brera e intende non tanto ricostruire la carriera di Carlo Crivelli, quanto, come il titolo suggerisce, riflettere attraverso una vicenda esemplare le logiche che hanno guidato la prima organizzazione della pinacoteca braidense. Riferisce nel catalogo Electa la curatrice Emanuela Daffra: “il 1811 fu per il patrimonio di Brera quello che è l'adolescenza nella vita di ognuno: la crescita improvvisa e incontrollata che destabilizza, pone interrogativi, impone scelte. Fu in quell'anno frenetico, in cui l'Inventario Napoleonico, dove venivano registrate le accessioni, segna l'arrivo di 468 opere, che vennero tracciate, talvolta in modo inconsapevole, alcune direttrici che segneranno la storia del museo. Mai erano arrivati tanti dipinti tutti insieme, e mai ne giungeranno in seguito. Basti pensare che in una ideale graduatoria di acquisizioni il secondo posto sarebbe occupato dal 1809, l'anno della inaugurazione della Pinacoteca, che ne conta 161. Insomma un'ondata senza paragoni, resa possibile dalle ulteriori soppressioni legittimante dal Decreto dell'aprile 1810. Oltre alle zone già comprese nelle campagne precedenti questa volta i commissari napoleonici raggiunsero i dipartimenti” marchigiani, annessi nel Regno d'Italia già nel 1808 ma nei quali non erano ancora state fatte ricognizioni e requisizioni sistematiche. Il 24 settembre 1811 giunsero a Milano da Camerino 13 tavole di Carlo Crivelli (un numero impressionante, se si considera che all'epoca il pittore era praticamente uno sconosciuto), tra cui i polittici di San Domenico (otto tavole) e del Duomo (due tavole, tra cui la celeberrima Madonna della Candeletta, oggi liberata dalle ridipinture ottocentesche e per la prima volta ammirabile nell'originario splendore), la Crocefissione, la Consegna delle chiavi a San Pietro e l'Annunciazione con Sant'Emidio (quest'ultima da Ascoli Piceno). Successivamente, a titolo di scambio con altri dipinti, due pale e alcuni scomparti dei polittici furono ceduti a musei stranieri o a collezionisti privati. La mostra li ricompone parzialmente, riunendo alle tavole rimaste a Milano le parti conservate in tutto il mondo (Berlino, Montreal, Londra, Francoforte, Riggisberg, Portland, Avignone, Denver, Venezia, Firenze), consentendo di cogliere con immediatezza i mutamenti nella carriera del pittore e di considerare i parametri delle attese del pubblico e dei committenti ed i modelli di riferimento a Camerino (Boccati e Giovanni Angelo di Antonio, del quale è in mostra il polittico di Gualdo Tadino). Accanto alle tavole sono esposti rari esemplari di tappeti orientali, tessuti damascati, ricami, reliquiari, oreficerie, per rappresentare concretamente il repertorio di oggetti preziosi ritratti nei minimi dettagli da Crivelli con incredibile abilità. La Milano del primo Ottocento non aveva grande interesse per le opere di Crivelli, essendo improntata al gusto neoclassico e alla pittura accademica, mentre l'Europa dei pittori nazareni e più tardi dei preraffaelliti era più attenta ai fondi oro e alla maniera grafica di Crivelli. Sebbene il fenomeno della pittura nazarena si sia sviluppato a Roma (una pietra miliare resta l'esposizione nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna curata da Gianna Piantoni nel 1981), esso fu principalmente connesso con i giovani artisti dell'Accademia di Vienna (fondata anch'essa nel 1809) con lo scopo di esprimere e diffondere un ritorno all'originaria purezza della pittura; fu un movimento abbastanza importante e sicuramente forte per scalfire l'indirizzo classico diffuso universalmente negli ambienti accademici prima da Winckelmann e poi, a livello di filosofia estetica, da Hegel. Da un verbale conservato tra le carte del commissario Antonio Boccolari (incaricato delle operazioni di requisizione insieme a Giuseppe Santi nei dipartimenti transpadani, operazioni che si concretavano nello spedire a Milano non solo i capolavori ma tutte le opere che presentassero un qualche interesse) si apprende che dalla chiesa di San Domenico a Camerino egli scelse gli otto pannelli che componevano il trittico del 1482. Poi vide “nel locale ove si conservano i quadri spettanti alla chiesa cattedrale” la Madonna della Candeletta, il pannello laterale coi Santi Gerolamo e Ansovino e il Crocefisso. Evidentemente ne comprese la qualità e l'importanza perchè, non potendo requisirli in quanto la cattedrale e i suoi beni non erano soggetti a demaniazione, convinse il responsabile a cederli al governo in cambio di altre opere minori. Quindi confezionò una cassa di soli Crivelli e la spedì a Milano, dove arrivò il 24 settembre 1811. Qui alcuni pezzi non furono mai esposti ed in seguito scambiati con altri musei o antiquari. Rimasero a Brera solo la Madonna della Candeletta, la Crocefissione e le tre tavole principali del trittico di San Domenico con le due parti laterali della predella, mentre la centrale non giunse mai a Milano. Quest'ultima ora sembra rintracciata nell'Ultima cena di Montreal grazie al confronto con l'integro polittico del fratello Vittore Crivelli, dipinto nello stesso anno a San Severino (che dista pochi chilometri da Camerino) e conservato nella pinacoteca comunale di San Severino Marche. L'interesse per Crivelli, cresciuto a partire dalla metà dell'Ottocento, conobbe una fase discendente dopo la prima guerra mondiale; bisognerà aspettare gli anni Ottanta del Novecento e la direzione di Carlo Bertelli per spostare nelle sale di Brera le opere dal settore veneziano a quello marchigiano, dopo le ricerche di Pietro Zampetti, le ricostruzioni di Federico Zeri e gli studi di Roberto Longhi. In questa esposizione ci sono i due polittici provenienti da Camerino per la prima volta parzialmente ricostruiti, l'Annunciazione di Ascoli e le opere permanentemente a Brera (che figurano anche nella guida della pinacoteca pubblicata da Electa), poiché la Consegna delle chiavi è troppo fragile per lasciare Berlino. Completano la mostra due altre opere marchigiane di Crivelli facenti parte della collezione braidense: San Francesco che raccoglie in sangue di Cristo (dipinta ad Ancona intorno al 1489) e L'incoronazione della Vergine con la lunetta della Pietà (dipinte a Fabriano nel 1493, ultime opere note dell'artista). L'esauriente e puntuale catalogo Electa, curato da Emanuela Daffra, analizza nei dettagli la fortuna museale di Carlo Crivelli a Brera, Londra e Berlino, ricostruisce il percorso dell'artista tra il Veneto, la Dalmazia e le Marche (il saggio sulle committenze camerti è accompagnato da documenti d'archivio) e propone confronti tra la pittura crivellesca e le arti suntuarie. Le opere in esposizione sono riportate con splendide fotografie, dettagli e schede esaurienti, dense di informazioni, anche sui restauri. L'introduzione di Emanuela Daffra, “Incantesimi per gli occhi” e il suo scritto “I Crivelli che arrivarono a Brera: storie di dipinti e di un museo” sono documentati come un saggio e appassionanti come un romanzo. Milano, Pinacoteca di Brera (sale XX, XXI, XXII), fino al 28 marzo 2010, aperta da martedì a domenica dalle 8,30 alle 19,15 (chiuso i lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaio), ingresso euro 10,00 (comprensivo di mostra e pinacoteca), catalogo Electa, infoline 02.722631.