Prima nazionale a Bologna per il nuovo lavoro di Roberta Lidia De Stefano con Alexandre Roccoli: una performance musicale sull’abuso del potere
Debutta in prima nazionale a Bologna "Di Grazia (la voix du patron)", il nuovo lavoro dell’eclettica attrice e performer Roberta Lidia De Stefano, prodotto da ERT e realizzato insieme al coreografo francese Alexandre Roccoli con cui condivide l’ideazione, la regia e la drammaturgia.
Roberta Lidia De Stefano, già Menzione d’onore del Premio Duse 2022 e Premio Mariangela Melato 2023, dopo il successo della sua interpretazione in "Kassandra" torna in scena con una performance musicale sull’abuso di potere che si inserisce Focus Lavoro immaginato da ERT per la città di Bologna con spettacoli e attività culturali dedicati al tema.
Una performance musicale sull’abuso di potere
Incentrata sull’abuso di potere e sugli stati post-traumatici, la performance è l'esito di una ricerca che affonda le sue radici in un Sud antico e rurale - patria delle “tarantolate”, delle lavoratrici nei campi di tabacco e di “ex voto”: è qui che si riapre una "ferita universale" e si alzano canti di libertà contro scenari di guerra e violenza.
De Stefano e Roccoli costruiscono una sorta di “operetta rurale” a partire dal racconto di una donna della Ciociaria, una lavoratrice povera e senza scelta. La donna, unica figlia femmina di una famiglia patriarcale, alla morte del padre scoprirà di non aver ricevuto nulla in eredità, neppure la casa, che un tempo si lasciava in dote alla “fimmina”, non ancora presa in sposa.
Lo spettacolo nasce da un recupero etnomusicologico dei canti popolari del Sud Italia, legati ai movimenti e ai gesti di lavoro. I due artisti attingono dal loro comune immaginario, che li riporta ai rispettivi luoghi d’origine, immersi in grandi tradizioni e contraddizioni, governate da un Dio indubbiamente Maschio, Padre e Figlio, tipico schema di una società patriarcale.
La protagonista nemmeno al di fuori dal nucleo famigliare troverà fortuna: continuerà infatti a lavorare la terra come ha sempre fatto, ma sotto un altro padrone e senza alcun diritto - lamentarsi delle condizioni di lavoro e degli abusi dei caporali è rischioso e pericoloso, non può permetterselo.
Scrivono De Stefano e Roccoli: “Questo è il destino delle lavoratrici (italiane e straniere) che raccolgono i nostri pomodori, le nostre arance, le nostre fragole nelle terre bagnate dal Mediterraneo: la mattina, sul furgone, il caporale mette caffè e brioche vicino al volante. Come si può leggere in “Oro rosso” della giornalista e fotografa Stefania Prandi – Se ti siedi davanti e non li prendi, ma ti compri la colazione da sola, significa che rifiuti la sua offerta. Chi prende la colazione invece, accetta di andare con lui, se rifiuti di fare sesso, il giorno dopo lui ti lascia a casa”.
La voce come corpo politico e il corpo come “campo di battaglia”
Un viaggio “a corpo aperto” che riapre ferite universali per rievocare la triade lavoro-potere-violenza che ancora oggi stringe e soffoca i corpi dei più “fragili”.
Un viaggio dove la voce diventa uno strumento politico e il corpo diventa sia un “campo di lavoro” che un “campo di battaglia”, a sottolineare l’amara intersezionalità del dittico “lavoro-guerra”, ovvero l’"intersezione" delle di queste due diverse identità e di quelle che possono essere le relative discriminazioni, oppressioni, o dominazioni.
Le parole e i silenzi si svuotano lasciando spazio ad una partitura che ricorda le crisi nervose delle “tarantolate”, sino a rendere la protagonista, quasi un “automa bressoniano”.
Concludono De Stefano e Roccoli: “Di Grazia (la voix du patron) è una catartica epurazione di emozioni una tragedia nel suo senso primario. Nell’opera tutto concorre a restituire dignità e quindi Voce, a un capro espiatorio, a una prigioniera della sua Persona (maschera). Il milieu di disgregazione socio-familiare sommato alla sua condizione, la vorrebbe “sgraziata” per sua colpa. Ma il fatto di essere una diversa, una révoltée, non è legato solo all’essere ultima tra gli ultimi, ma anche alla di(s)grazia di essere nata donna in un mondo ancora oggi, troppo a misura d’uomo”.
Nell’opera tutto contribuisce a restituire la “Grazia” a chi la perde quotidianamente, nel silenzio dell’indifferenza.