Teatro

DITTICO INUSUALE IN CHIUSURA DI STAGIONE A PISA

DITTICO INUSUALE IN CHIUSURA DI STAGIONE A PISA

Il Teatro Verdi di Pisa ha posto il sigillo ad una stagione ricca di titoli molto amati - e per questo segnata dal costante 'tutto esaurito' - con un dittico raffinato, costituito da due atti unici pressoché sconosciuti al grande pubblico. Scelta intelligente e coraggiosa, che ha visto la bella sala pisana comunque affollata di spettatori molto attenti e alla fine palesemente grati - vista la generosa quantità di applausi tributati a tutti gli artisti - di queste rare proposte musicali. Dimostrazione indiscutibile, tra l'altro, di come si possano portare a compimento stimolanti operazioni culturali senza sacrificare il coté dello spettacolo. Per di più prevedendo un impegno finanziario abbastanza modesto, come ci ha confidato il direttore artistico Marcello Lippi: i due titoli proposti - "Mozart e Salieri" di Rimskji-Korsakov e "Zanetto" di Mascagni - hanno infatti in comune una relativa brevità, poche pretese sceniche e necessità di due soli cantanti ciascuno. Metteteci la presenza di una compagine orchestrale quasi tutta di giovani ma efficiente, un coro locale ben preparato, interpreti non notissimi ma sicuramente in grado di sostenere il ruoli loro consegnati, e il gioco è fatto.
Riprendendo con il suo  "Zanetto" un testo di François Coppée ("Le passant", reso celebre dall'interpretazione di Sarah Bernhardt), Mascagni testava un nuovo filone, calandosi in un gioco medievaleggiante che parrebbe anticipare le estenuate nostalgie 'dugentesche' della futura "Parisina". Riducendo le  proporzioni della traduzione italiana di Emilio Praga, gli agili versi del libretto approntati dagli amici Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci servirono a Mascagni per realizzare questo agile atto unico per il teatrino e gli allievi del Liceo Musicale di Pesaro, del quale era allora direttore e dove apparve vide la luce il 2 marzo 1896. Partitura fresca e schietta nel carattere che, come dimostrano i purtroppo assai rari recuperi alle scene, può ancora far buona presa sul pubblico, anche se la trama è esile: la bella cortigiana Silvia vorrebbe incontrare un amore vero e sincero, ma scoprendo che il giovane menestrello Zanetto sta andando proprio alla ricerca di lei, lo dissuade da un rapporto diseguale che potrebbe essergli funesto. La patina antica vien data da un largo uso di citazioni di madrigali e villotte, che potrebbe portare ad un archeologismo un po' bolso se il Livornese - qui evidentemente in una felice fase creativa - non sapesse scansare accortamente i rischi di un algido recupero intellettualistico, costruendo un insieme convincente, sostenuto da un'ispirazione naturale e da un'orchestrazione accorta e trasparente dalla quale sono volutamente assenti gli ottoni. Stupendo l'episodio del coro di apertura a cappella, in una chiara notte di luna; abile la tratteggiatura della figura della bella cortigiana Silvia, con le sue laceranti riflessioni esistenziali; subito simpatico ed accattivante, appena fa il suo ingresso in scena, il personaggio adolescenziale di Zanetto, cantastorie pago della sua vita vagabonda. Un menestrello scanzonato al quale Mascagni pone in bocca una luminosa serenata sostenuta dal tocco ritmico dell'arpa, che più toscaneggiante e più ruffiana non potrebbe essere.
Circa due anni dopo, Nikolaij Rimskij-Korsakov presentava in una istituzione minore di Mosca - il Solodovnikov, teatro privato del magnate Mamontov - il suo "Mozart e Salieri", atto unico articolato in due scene drammatiche collegate da un veloce episodio strumentale. Per il libretto attingeva da sé al grande Puškin, che aveva pubblicato nel 1830 una fortunata raccolta di brevi tragedie in versi. Quattro veri e propri microdrammi, in cui con stile scarno vengono affrontati nodi emotivi di intensa drammaticità: "Il festino durante la peste", "Il cavaliere avaro", "Il convitato di pietra" ed appunto "Mozart e Salieri". Tutti ebbero l'onore di essere trasformati in musica: il primo da Kjiu, il secondo da Rachmaninov, il terzo da Dargomyžškij, il quale che morendo nel 1869 lasciò incompiuta la partitura. Il suo lavoro venne completato in alcuni dettagli da Kjui e nell'orchestrazione da Rimskij-Korsakov, suoi grandi amici e sodali, che ne organizzarono poi la presentazione nel 1872 a San Pietroburgo. A quel breve ed intenso dramma, esemplare nell'integrazione paritaria tra parola e musica, si ispira apertamente "Mozart e Salieri", affettuoso omaggio del compositore di Tichvin all'amico scomparso trent'anni prima,  utilizzandone lo stesso fluente e scolpito declamato, ed ottenendo una pari forte teatralità; e che nel tessuto musicale ricorre a volute citazioni sia di quell'ultimo lavoro di Dargomyžškij, sia naturalmente di temi mozartiani, tutti abilmente integrati nell'azione scenica. Il plot che anima "Mozart e Salieri" è arcinoto, essendo poi stato ripreso da Peter Shaffer nel suo dramma "Amadeus" del 1978, a sua volta alla base dell'omonimo fortunatissimo film di Milos Forman. Naturalmente, che il musicista di Legnago abbia avvelenato il giovane rivale è un'invenzione bella e buona, priva d'ogni fondamento storico e documentale; ma l'idea di opporre da un lato la mediocrità dell'invidioso Salieri - per il quale scriver musica è il risultato di una paziente e faticosa laboriosità artigianale - e dall'altro la genialità superiore e naturale di Mozart, per il quale comporre pare invece un dono gratuito ed inesauribile, risulta un'invenzione drammaturgica assolutamente straordinaria ed affascinante.
Gianluca Floris è un poliedrico uomo di teatro: scrittore, attore, cantante, era qui presente nella veste di regista. In entrambi i frangenti ha scovato il giusto equilibrio tra esigenze musicali e sceniche, rendendo ad ognuno un senso appropriato. Non gli servivano grandi cose in scena - una poltrona, un leggio, un tavolo, due sedie per "Mozart e Salieri", un lungo piano a gradini ed una fontana per "Zanetto" - per suggerire le giuste atmosfere; ed ha giocato molto bene con le luci di Enrico Basoccu, pronte a suggerire le giuste emozioni e ad avvolgere sapientemente i personaggi.
La figura di Salieri stava nelle mani di Alessandro Calamai, espressivo basso-baritono chiamato frequentemente a ricoprire parti buffe. Nondimeno, anche al momento di risolvere un ruolo fortemente scolpito e drammatico come quello del rancoroso musicista di corte, riesce interprete di indubbio valore musicale ed assolutamente credibile nell'interpretazione: dapprima pieno di sé, man mano preda sempre più d'un ansia febbrile e angosciosa, sino alla tragica risoluzione finale. Meno probante a mio avviso il  Mozart del tenore Matteo Mazzaro, principalmente a causa d'una vocalità ancora da mettere a fuoco.
Nel lavoro mascagniano risaltava la Silvia melanconica e sognante di Silvana Froli, voce sopranile dalle colorazioni brunite, che ben gioca sul chiaroscuro e sui gradienti di colore. Parimenti persuasiva il mezzosoprano Sandra Buongrazio nel ruolo 'en travesti' dell'adolescente protagonista, grazie alla freschezza ed alla proprietà di stile messe in campo.
La giovane Orchestra Arché - giovane perché prevalentemente di giovani, e giovane perché di recentissima fondazione - ha servito con docilità il suo bravo direttore, Francesco Pasqualetti: dotato allievo delle masterclasses di Gianluigi Gelmetti alla Chigiana di Siena. Buona prova del casalingo Coro Laboratorio Lirico San Nicola diretto da Stefano Barandoni. L'allestimento del dittico era in coproduzione con il Teatro Goldoni di Livorno.