Mai come ora, a poco più di un anno dalla sua scomparsa, sentiamo la mancanza della dolcezza, dell' intelligenza e dell' ironia di Enzo Jannacci. Per questo motivo non dobbiamo perdere la possibilità di ritrovarle sul palco del Teatro Menotti di Milano grazie allo spettacolo "No, tu no" di Egidia Bruno.
Debutterà in anteprima nazionale al Teatro Menotti di Milano, dove rimarrà per due giorni (martedì 17 e mercoledì 18 febbraio), lo spettacolo “No, Tu No”, omaggio ad Enzo Jannacci portato in scena da quella che è stata una dei suoi allievi più talentuosi, ovvero Egidia Bruno. E’ lei infatti che il Maestro scelse per portare a teatro la sua prima regia (La Mascula, monologo di Egidia che vinse nel 2002 il Premio Troisi) ed ora Egidia, su testi propri e di Marie Belotti e accompagnata al pianoforte da Alessandro Nidi, ritiene sia venuto il momento di ricambiare sul palco l’ affetto e la generosità ricevute da Jannacci. Ed è un’ intervista col sorriso sulle labbra, sul filo del ricordo e della commozione quella fatta ad Egidia a pochi giorni dal debutto …
Nel testo di presentazione dello spettacolo hai scritto di aver aspettato anni prima di convincerti a dedicare un testo a Jannacci. Immagino ci possa essere stata la paura di fare un omaggio sterile e ridurre la figura di Enzo ad un “santino” senza vitalità…
Sicuramente quello, ma anche perché ritengo che alcune esperienze abbiano bisogno di maturare ed altre devono comunque rimanere al nostro interno. Pensavo che quello lasciato da Enzo fosse un patrimonio da custodire e da non buttar via alla prima occasione buona. Poi, due anni fa, in occasione de “La Milanesiana” di Elisabetta Sgarbi, preparai un pezzo intitolato “La lucana e il milanese” e tutto è nato un po’ da li. Sono state tante le sollecitazioni che, alla fine, hanno fatto sì che mi convincessi a dire ok.
E quindi cosa troveremo in “No, Tu no” di Enzo, e quanto di tuo ?
Quello che abbiamo voluto fare con questo spettacolo, più che un omaggio all’ “Enzo Jannacci uomo” è un omaggio alla sua visione ed al suo sguardo artistico. Di Enzo c’è molto, alla fine abbiamo usato dodici canzoni sue anche se, a parte “Ma Mi” – che non era di Enzo ma che da lui è stata cantata - e “Vengo anch’ io, No tu no”, che abbiamo messo alla fine come bis, abbiamo voluto di proposito usare canzoni poco note. Poi ci sono anche tre suoi testi che però non ha pubblicato come monologhi, ma che comunque sono stati incisi su disco. Tutto il resto è scritto appositamente da me e da Marie Belotti per lo spettacolo, sperando che i due mondi possano trovare un punto di unione, di comunione.
Da lucana, come ti sei avvicinata all' umorismo “milanese” di Jannacci ?
All' inizio pensavo non ci azzeccasse per niente ! C'è da dire che il papà di Jannacci era pugliese e quindi Enzo non è che si potesse dire milanese Doc, anche se poi alla fine lo è stato. Ma, al di là di questo, la Lucania, a differenza di tutte le altre regioni del Sud, non è così fedele allo stereotipo che le vuole sempre baciate dal sole e bagnate dal mare. La Lucania è molto interna, molto appenninica, abbiamo anche noi la neve, la nebbia, quindi abbiamo anche noi quelle influenze che possono formare un carattere: una certa ombrosità, una certa forma di pudore e di discrezione che, in fondo, con Jannacci legava molto. Quando poi ho conosciuto Enzo, ho sentito che - forse paradossalmente - c'era una visione artistica e generale che aveva molti punti in comune.
Immagino avrai avuto una tua visione di Milano prima ancora di conoscerla. A posteriori, era molto differente da quella reale – e anche surreale - di Enzo?
A Milano sono arrivata dopo essere stata dieci anni in Emilia e quindi non ero del tutto “digiuna” di Nord. Credo che Jannacci sia uno di quegli artisti che ha saputo veramente descrivere in modo efficace un certo tipo di nord ed un certo tipo di umanità legata al nord: le atmosfere, i personaggi, le situazioni, quella bella...come si può dire..”lombarditudine”!. E' stato molto interessante, durante il lavoro di ricerca dei brani da mettere nello spettacolo - ci sono voluti due o tre mesi per ascoltare tutto quello che Enzo ha scritto – scoprire che, fra centinaia e centinaia di canzoni, in molte c'è veramente la descrizione di questa regione e della sua gente. Il discorso di Jannacci ovviamente poi si allarga e si estende all' uomo in generale, nella sua fragilità ed umanità, partendo dal particolare sino ad arrivare alla complessità dell' universale, che è un po' anche quello che succede, ad esempio, con Filomena Marturano di Eduardo De Filippo, commedia così napoletana e comunque una delle più tradotte al mondo.
Qual è il primo ricordo “professionale” che hai di Enzo?
Il fatto di essere vista ed ascoltata da lui mi capitò per puro caso: stavo facendo il mio pezzettino di cabaret in un sottoscala a Sesto San Giovanni e alla fine me lo sono ritrovato davanti. In quel momento stava cercando un' attrice per i suoi progetti e così girava nei posti meno canonici. Quando me lo sono trovato di fronte, nemmeno pensavo fosse lui. Nel pezzo che facevo interpretavo una direttrice di una rivista di gossip non più tanto giovane. Di tutto il pezzo lui rimase colpito - e fu quello che lo convinse a prendermi !- dal gesto con cui inforcavo gli occhiali. Mi disse “ Da quella roba li, ho capito chi eri”
…ed il tuo primo ricordo personale legato alla sua figura ?
Beh, a parte il primo impatto da piccola con “Vengo anch’ io, No tu no”, canzone da cui siamo passati un po’ tutti , il primo vero “incontro” che ho avuto con Enzo fu attraverso un lp di Luigi Tenco. Era una raccolta e, fra i brani di Tenco, c' era una canzone che mi piaceva moltissimo dal titolo “Passaggio a livello”. Mi piaceva talmente che andai a vedere chi l' aveva scritta ed era di Jannacci. Quando poi, anni dopo, lo conobbi gli dissi “ Sai, io non conosco molto le tue canzoni però ce n'è una che mi piace moltissimo, “Passaggio a livello...” E lui : “ ...ma come passaggio a livello, una canzone così vecchia...ti piacciono quelle robe li..” però si vedeva che la cosa gli aveva fatto piacere, aveva un sorrisino un po' così...!
C'è anche un altro ricordo che mi è caro e che riportiamo anche nello spettacolo: una sera mi sarei dovuta presentare a casa sua e, visto che le persone famose spesso mettono cognomi differenti sul campanello, gli chiesi cosa avrei trovato scritto sul citofono. Lui mi disse “E cosa vuoi che ci sia scritto, c'è scritto Jannacci ”. E io: Va beh, ma sei un personaggio famoso, di solito ci si mette un numero..” Lui mi rispose: “Io non sono famoso, semmai sono popolare”.
Immagino che incrociare la propria strada con quella di Jannacci lasci un segno molto profondo. Quale dei suoi consigli hai fatto maggiormente tuo ed hai messo in pratica nell’ insegnamento teatrale?
Enzo aveva la grande capacità di capire chi aveva di fronte e se era dotato di vero talento. Non parlo per me, ma penso a Cochi e Renato o ad Abatantuono per dirne solo alcuni tra i tanti artisti di cui è stato “promotore”. Mi ha sempre detto: “Io ho avuto successo e chi ha avuto successo deve sempre aiutare chi merita di averne. Dario Fo l' ha fatto con me, è stato il mio maestro, e io lo faccio con voi che siete i miei allievi...se non lo faccio io, chi lo deve fare ?” Questa sicuramente è stata una delle cose più belle della relazione artistica che si è sviluppata fra me e lui e che, per quanto possibile, cerco di divulgare.
Al contrario di altri cantautori storici si è sempre stati molto restii ad attribuire a Jannacci il titolo di “poeta”, per quanto ciò possa valere per le canzoni. Perché, secondo te?
Jannacci sfugge, è trasversale. E' difficile inquadrarlo e non lo puoi catalogare, e lo si vedrà anche dai pezzi che abbiamo messo nello spettacolo: c'è il pezzo sociale, c'è il pezzo surreale, c'è il pezzo politico. Non incasellandolo però si fa un peccato di superficialità, si è forse un po' troppo sbrigativi nel liquidarlo come “non poeta”. I suoi a volte sono testi criptici, molto poco di impatto immediato, ma contengono quella cifra di ironia che spesso gli altri non hanno e che, paradossalmente, viene più riconosciuta dai giovani.
Marie Belotti: Jannacci, e questo è singolare, è molto amato e viene citato spessissimo ad esempio nei circuiti underground. Ci sono giovani che fanno musica differente da quella di Enzo e che comunque lo amano molto e dicono di ispirarsi a lui. E' in questo modo che, anche se forse non più così visibilmente ed in maniera immediatamente riconoscibile, la sua musica e la sua poetica possono continuare a nutrire il panorama culturale.
Quanto è cambiato il panorama teatrale comico, o cabarettistico, da quando hai iniziato? E c'è ora una formazione paragonabile a quella che allora poteva dare il Derby o lo Zelig “storico”?
Assolutamente no...la comicità ora si è ridotta ad uno "spremiagrumi": finché c'è “succo” ti spremono, dopo di che, avanti un altro... Jannacci, parlando del Derby o anche dell' esperienza più recente del “Bolgia Umana”, mi raccontava che il comico veniva costruito, veniva seguito, le cose avevano bisogno di tempo, di investimento di energie. Ora non c'è il tempo né la maniera, tutto viene accelerato, è un tritatutto. Poi ovviamente ti devi confrontare con questa realtà, non puoi nasconderti dietro il “si stava meglio quando si stava peggio”, però quella che poteva essere la scuola di comicità - la scuola romana, la scuola toscana - non ci sono più proprio perché mancano le possibilità, al di fuori della tv, di poter crescere. Ho fatto esperienze per molti anni nei cosiddetti “laboratori di comicità” ma ho capito che non erano assolutamente delle situazioni in cui potevo crescere. Quando invece ho incontrato Jannacci ho capito che lì c'era la possibilità di consolidare quello che avevo già appreso o comunque di andare avanti, possibilità che non avevo sperimentato nelle situazioni in cui ero transitata precedentemente.
A poco più di un anno dalla sua scomparsa, qual è secondo te l’ eredità artistica e poetica che ha lasciato Jannacci?
Quello che già avevamo accennato prima: la grande trasversalità, il fatto di essere “onnivoro” ovvero Jannacci non lasciava nulla fuori da quello che era il suo sguardo. E poi soprattutto la sua grande umanità e generosità nel riconoscere il talento negli altri.