Un grande evento di danza internazionale il prossimo lunedì 16 maggio: salirà sul palco del Teatro EuropAuditorium Eleonora Abbagnato, étoile palermitana dell'Opéra de Paris, che interpreterà "Carmen", coreografia e regia di Amedeo Amodio.
La danza torna in scena al Teatro EuropAuditorium di Bologana lunedì 16 maggio con Carmen, nella versione coreografica di Amedeo Amodio, creata sulle musiche dell’opera di Georges Bizet e con un adattamento e interventi musicali originali di Giuseppe Calì. Protagonista l’étoile palermitana dell’Opéra de Paris, nonché direttrice del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, Eleonora Abbagnato che interpreta il ruolo di Carmen, al suo fianco Alexandre Grasse, étoile sempre dell’Opéra de Paris che interpreta Don José.
Il fascino del racconto di Prosper Mérimée, pubblicato nel 1845. Il fascino dell’opera di Georges Bizet andata in scena nel 1875; tre mesi dopo, il grande compositore moriva a trentasette anni. Un successo che crebbe dopo la scomparsa - il compositore si sfilò dalla vita come un’ombra. Il fascino di una tragedia che coniuga l’amore alla passione e alla morte, fluida e torbida come un torrente inquieto, come una misteriosa danza cantata. Il fascino della danza cantata, solubile allo sguardo, quasi magnetica, attraverso le immagini del cinema, quelle più vicine a noi.
Questa Carmen viene da una consolidata esperienza: Amedeo Amodio ha percorso i suoi anni con coerenza, cambiando di continuo, con sottigliezza, misura ed eleganza, amando la sua arte, inseguendola nei cambiamenti, con uno scopo preciso ed evidente. L’obiettivo affiora decisamente in questo suo lavoro, ripreso, aggiornato, fresco, rispetto ad una prima proposta del 1995, al Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia per l’Aterballetto di cui Amodio è stato fondatore e direttore. Erano anni in cui la danza stava assumendo un’importanza vitale, trovando una nuova qualità in una ricerca contrapposta alla comunicazione allargata e artificiale, volta a conquistare il generico “pubblico del mondo”: un processo ancora in corso, una ricerca intrecciata tra musica, arti visive e immagini mute (fotografia, teatro d’avanguardia).
La musica di Bizet viene riletta, e ancora una volta collabora all’operazione di ringiovanimento Giuseppe Calì; le voci dei cantanti non ci sono più, al loro posto cantano invece gli strumenti. L’ordine non è del tutto rispettato, ma i fatti sì, sono quello che tutti conosciamo: si comincia dalla fine, ma non si va per flashback. Il gioco organizzato da Amodio prevede che vi sia un inizio e una fine dello stesso fatto. Non è un caso che Amodio in questa Carmen abbia cercato un’altra strada nelle ombre, in un bel gioco di luci e di prospettive, gli alter ego dei “suoi” (di Amodio) personaggi avuti in prestito da Mérimée e Bizet. Ombre che possono fuggire, abbandonare i loro “fittizi” proprietari e scegliere un’indipendenza senza padroni né confini: ombre e ricatti, per aiutarci a capire che non siamo mai soli.
La scena vuota, gli attori e tutti gli altri sono andati via: bisogna rassettare, riporre gli oggetti, tornare all’ordine com’era prima dell’alzarsi del sipario. Dunque, tutto accade quando lo spettacolo è finito, il palcoscenico sarà sgombrato e la recita cambierà. Ruoli, azione e copione non sono più gli stessi: la danza dello spettacolo di Amodio corre veloce all’ultima parte, Quarto Atto, dell’opera. I personaggi sono gli addetti allo sgombro, al trasporto delle scene: volti e corpi fuori dalla magia della recita ormai dismessa, sostituita da qualcosa d’involontario, suggerito dalla casualità. Ed ecco che un camionista raccoglie da qualche parte una giacca da riporre, la indossa, e subito diventa Don José, un uomo innamorato disperatamente, deluso e violento.
La danza è del tutto diversa: ci sono Carmen, Don José, Escamillo, Micaela, ma ogni momento, ogni passaggio, risulta un “doppio” rispetto sia ai personaggi che alle situazioni. Il doppio costituito da ombre che appaiono sulle pareti e si allungano come elastici, angeli custodi infidi, provvisori che, all’improvviso, scattano via, dileguandosi. L’idea del “doppio” – la giacca trovata, le ombre elastiche – è di forte suggestione: l’atmosfera è astratta, rimanda alla morte /Don José che uccide Carmen con il suo bacio, Carmen vestita di bianco come fosse avvolta da un sudario. Il gioco delle parti s’identifica con una soluzione pirandelliana che trasmette l’angoscia e il senso della fine, possibile e ignorata; la fine nascosta e imminente, in agguato nei tanti destini coinvolti nei duelli dell’amore-passione.
Amedeo Amodio, con la sua Carmen suadente, incalzante, colma di pudore, svela i “doppi” che noi tutti siamo tra realtà e ombre che ci abbandonano; e suggerisce il ritmo delle sensazioni audaci: temere l’amore se porta alla morte.