Teatro

Elogio del dubbio

Elogio del dubbio

Punta della dogana è uno degli esempi più affascinanti di recupero di un luogo storico in chiave moderna, realizzato da Tadao Ando con gli elementi caratteristici del suo stile (come il calcestruzzo architettonico) adattati a un edificio nato per altre funzioni; insieme a Palazzo Grassi oggi costituisce punto di eccellenza della programmazione culturale italiana, soprattutto per quel che concerne l'arte contemporanea.
“Elogio del dubbio” propone un percorso tematico all'interno della collezione permanente di François Pinault sulla forza e sulla fragilità della condizione umana con lo scopo di documentare che l'arte contemporanea non può offrire verità o certezze (che sarebbero mere illusioni) ma può solo spiazzare, instillare dubbi, mostrare rovesciamenti visivi e contenutistici. Abbiamo continue dimostrazioni di come nell'oggi si affermino l'effimero e l'illusorio, di come sia finito il valore della cosa in sé, di come la vita immediata abbia sostituito la vita assoluta, frammentando le immagini a vantaggio di un relativo che ha eclissato l'assoluto.
Le opere in mostra sono cronologicamente collocabili a partire dagli anni Sessanta e sono incentrate sulla celebrazione del dubbio nei suoi aspetti non statici, cioè nella forza nello sfidare i pregiudizi, le convinzioni, le certezze, con l'idea di dare spazio a tutti gli interrogativi possibili per valicare i limiti che ognuno si pone, tentando di reinventare lo sguardo che abbiamo su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Il percorso è reso più agevole ed emozionante dagli spazi di Punta della dogana, navate trasversali di una struttura triangolare in cui ogni spazio è dedicato a un artista eppure aperto agli altri in un confronto-dialogo quanto mai necessario ed inesausto anche (e soprattutto) quando crea un cortocircuito mentale ed emozionale.
Nella prima sala le opere minimali di Donald Judd (vere tautologie visive) creano nuovi significati e ruoli per la scultura, fondendosi essa con l'architettura e l'arredo di interni, e si confrontano con il trofeo deviato di David Hammons (emblema della insopprimibile voglia di possesso connaturata a un certo tipo di potere) e con il cavallo di Maurizio Cattelan e la sua voglia di scappare opposta alla impossibilità di farlo.
Subito dopo l'istallazione “Roxys” di Edward Kienhold riproduce una casa di tolleranza, mostrandone la brutalità e imponendo l'interrogativo sulle pulsioni inespresse dell'uomo e sulle conseguenze di queste nella vita sociale. Simile lo spirito delle sculture di Paul McCarthy, ma qui prevale una certa ironia nel raffigurare la donna-oggetto e l'uomo-conquistatore, realizzati con innesti plastici di chirurgica ossessione.
Marcel Broodthaers mette in scena, trasformandoli in oggetti di vita quotidiana, gli strumenti della guerra, facendo riflettere sulla violenza di gruppo e sulla insopprimibile pulsione al conflitto armato. Thomas Houseago riprende l'idea della figura umana nella sua assurdità, mentre gli elementi di Roni Horn (“Well and truly”) propongono una esperienza fisica capace di scuotere le certezze identitarie e lo spazio vuoto della sala amplifica la sensazione. Spazio vuoto che, allo stesso modo, ingigantisce l'emozione di “All” di Maurizio Cattelan: i nove corpi sotto i lenzuoli marmorei che pongono inquietanti interrogativi sull'individualità e sulla morte. Domande esistenziali che coinvolgono anche i “villaggi senza frontiere” di Chen Zhen: esilio, sopravvivenza, ruolo e senso delle tradizioni.
Stupore ed inquietudine suscitano le strane figure di Thomas Schutte. Passando per Sigmar Polke, si arriva allo spazio centrale, dedicato a Julie Mehretu e alle sue due opere commissionate per la mostra: entrambi gli artisti sembrano aver trovato in questi spazi la loro naturale dimensione. Prima del cafè e del bookshop l'installazione di Tatiana Trouvé realizzata appositamente per la mostra che parte dal luogo-dogana (entrata ed uscita delle merci) che diventa luogo di passaggio delle opere e dei loro fantasmi.
Stimola le sensorialità, soprattutto olfattive, l'installazione “Duchamp 1200 coal bags” di Sturtevant (le sue lampadine di “Felix Gonzales-Torres America America” sono prima dell'uscita), mentre Subdoh Gupta richiama Dalì e la Gioconda nella sua “Et tu, Duchamp?”. Inquietanti le teste-fontana di Bruce Nauman. Jeff Koons rilegge in chiave pop una vita ideale con oggetti gonfiabili coloratissimi, in netto contrasti con i colori, i materiali e le questioni poste da Adel Abdessemed: le conseguenze dei gesti e delle riflessioni, politiche e non, visivizzate come soprusi e violenze.
Oltre il percorso, le due sale del torrino: sotto il “cuore sospeso” (o impiccato) di Jeff Koons in cui il visitatore si riflette in distorsione, sopra il vestito da sposa sospeso di David Hammons, impiccagione di un “sogno dimenticato”. All'esterno lo “Stato Padre” di Thomas Schutte si contrappone al “ragazzo con la rana” di Charles Ray, ormai simbolo della Punta della dogana, proponendo un dialogo sul tema dell'illusione del potere e della sua trasmissione, dialogo esteso non soltanto ai visitatori della mostra.
Il catalogo Electa trilingue (italiano, inglese, francese) contiene la riproduzione fotografica delle opere in mostra, una guida al percorso e interviste a tutti gli artisti che fanno luce sulla loro attività.

Venezia, Punta della dogana, fino al 31 dicembre 2012, aperto da mercoledì a lunedì dalle 10 alle 19 (martedì chiuso), ingresso euro 15,00, catalogo Electa, infoline 199.139139, sito internet www.palazzograssi.it