FEDERICO BAROCCI E LA PITTURA DELLA MANIERA IN UMBRIA
L'idea della mostra nasce da una precisa circostanza: il restauro della Deposizione dalla croce del duomo di Perugia, capolavoro del periodo giovanile di Federico Barocci (1569) e considerata tra le opere più importanti del manierismo. A mostra conclusa, l'opera sarà ricollocata nella cappella di San Bernardino, di proprietà del Nobile Collegio della Mercanzia. Accanto alla Deposizione vengono esposte altre opere di Barocci, tra cui la delicata, poetica Madonna della gatta degli Uffizi, la grandiosa Annunciazione di Santa Maria degli Angeli e tre intensi ritratti allo specchio.
Il percorso poi prosegue con altri artisti operanti in Umbria al tempo di Barocci e si chiude con la produzione miniatoria perugina coeva. Completa l'esposizione una proiezione di immagini digitali, relative al restauro della Deposizione, e un film-documentario su Barocci tratto dall'archivio dell'Istituto Luce e che si apre con emozionanti immagini di Urbino.
La mostra segue quella organizzata a Siena, che ha trattato e dissodato l'argomento ma con un taglio specifico: la portata europea dell'insegnamento di Barocci, ad esempio su Rubens. Ma perchè gli artisti del barocco guardavano Barocci? Egli era un innovatore strepitoso, come già aveva capito lo storico dell'arte Luigi Lanzi che lo poneva non tra i manieristi ma tra i riformatori, sostenendo che era nato “troppo indietro rispetto a quanto ha saputo dare”. Anche Bellori ne aveva esaltato la grandezza come anticipatore dell'Accademia di Carracci, se non altro per il fatto di basarsi sul disegno. Tornando a Rubens, egli nel trittico di Anversa cita, in un certo qual modo, la Deposizione di Barocci del duomo di Perugia: come mai? La Deposizione era stata da subito veicolata ovunque attraverso le incisioni: Barocci fu molto abile nel farsi conoscere con le “fotografie del tempo”, cioè le incisioni. In particolare l'incisione della Deposizione era stata effettuata nel 1606 da Francesco Villamena di Assisi.
Federico Barocci nasce a Urbino nel 1535 circa; all'inizio degli anni Sessanta è a Roma al lavoro nella palazzina del Belvedere in Vaticano su incarico di papa Pio IV; i rapporti umani a Roma sono pessimi, perchè Barocci è considerato un pericoloso intruso e quindi emarginato: egli aveva una psicologia molto fragile, non regge alla pressione e se ne va, torna a Urbino (Bellori dice addirittura che lo avvelenano) e si chiude nel suo studio. Non incontra Caravaggio, che arriva a Roma dopo la sua partenza per Urbino.
Evidente nel Nostro la dipendenza da Rosso Fiorentino e Pontormo, da cui deriva le scelte e le composizioni cromatiche che però imposta in modo nuovo e competitivo, avendo egli una incredibile capacità nello spezzare le linee della tradizione rinascimentale, andando verso un senso assai scenografico della composizione, anticipando così il barocco e un modo anti-naturalistico di colorare.
Il taglio della mostra di Perugia, volta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e curata in modo mirabile, con competenza e affetto, da Francesco Mancini, è Barocci dentro la terra umbra, dove l'artista è presente con diverse sue opere, a differenza di Siena, dove si diffonde il baroccismo ma non ci sono opere dell'artista.
A Perugia infatti erano presenti tre opere di Barocci: la Deposizione del duomo, la Madonna della ciliegia ora alla Pinacoteca Vaticana e la Madonna del gatto ora alla National Gallery di Londra. Una Annunciazione è a Santa Maria degli Angeli, fedele replica di quella dipinta per Francesco Maria della Rovere per la cappella della chiesa di Loreto. Qui è raffigurato un interno familiare con un micetto che dorme sopra il cuscino di una sedia impagliata; dalla finestra la celebre veduta di Urbino: il palazzo ducale coi torricini. Infatti Barocci viveva raccolto (senza uscire) nel suo studio urbinate, da cui si vede appunto la facciata del palazzo. Francesco Maria II della Rovere contrattava per lui committenze e lavori, come fosse un agente. Da questa vita ripiegata, senza contatti con l'esterno, derivano le opere, che raccontano una dimensione intima, la bellezza dell'intimità, la poesia della vita “claustrale” dentro la propria casa, la “filosofia degli affetti”, come la definì Andrea Emiliani nel 1975 in occasione della grande mostra monografica di Bologna. Condivideva questa vita reclusa il fratello Simone, fabbricante di orologi di precisione.
Nelle opere presenti nella prima grande sala è evidente immediatamente che Barocci supera l'idea del chiaroscuro, o meglio il suo è un chiaroscuro colorato, cioè ottenuto con i colori come solo sapranno fare gli impressionisti secoli dopo: le ombre colorate di Barocci riescono ad esprimere le ombre dell'anima e gli affetti. Il percorso si snoda attraverso tre tematiche: la deposizione di Cristo dalla croce, il compianto sul Cristo morto e il trasporto di Cristo nel sepolcro.
La Deposizione del duomo di Perugia sfalda la forma organica e rinascimentale a vantaggio di una forma emotiva e dinamica che si ripercuote nella composizione. È un'opera complessa, costruita con incredibile sapienza, un “vortice manieristico” dove tutto è azione, movimento. Alla frenetica operosità degli uomini, intenti a calare Cristo dalla croce, ormai privo di “spirito che lo regga”, si contrappone l'amorevole gesto di San Giovanni, che trattiene la “gravezza” del corpo esanime; al gesto saettante delle Marie, che si lanciano a soccorrere la Vergine, si contrappone l'abbandono di questa, “tramortita e distesa” tra le braccia di una compagna che la fissa sgomenta. Più defilato San Bernardino da Siena, che “pare che accorra anch'egli a sostenere le membra divine” (i virgolettati sono tratti dagli scritti di Bellori). La concitata gestualità delle figure sottolinea il momento culminante del dramma, quando i sentimenti sono al vertice della tensione. In questa opera meravigliosa è perfetto l'accordo tra forma e movimento, il modo in cui i moti dell'anima sono fissati sulla tela, il fatto di avere dipinto i sentimenti con una gamma cromatica accesa e al tempo stesso tenue: queste le cose grandi e inusitate del Maestro urbinate. Difficile da esprimere a parole l'effetto flou del colore: Barocci sembra dipingere l'aria, l'atmosfera (è evidente la grande lezione di Leonardo), grazie ad effetti di sfumato e di morbidezza, che derivano anche dall'ammirazione sconfinata per Raffaello.
A confronto con questo capolavoro ci sono opere che esprimono le varie declinazioni del fenomeno baroccesco in Umbria: non tutto è baroccismo, in quanto ci sono altre declinazioni del sentire controriformato, come il fiammingo De Clerck (Todi). La Deposizione di Felice Pellegrini è una copia fedele di quella di Barocci di Senigallia: infatti il Pellegrini la firma in modo defilato, inserendo nell'interno della cavità sepolcrale un “pingebat”. È interessante il confronto con il vicino Compianto, opera del Pellegrini di invenzione e non copia, per cui lui si firma più in evidenza “inventor”.
Alcune opere sono esposte per la prima volta al pubblico, come uno dei tre autoritratti dell'artista. Molto interessante il posizionamento nella sala dei tre ritratti allo specchio, affiancati ad opere coeve per mostrare il volto di Barocci negli anni della pittura di quei quadri. In questa prima sala anche un'Annunciazione di Barocci (quella di Santa Maria degli Angeli descritta in precedenza), collegamento con il prosieguo del percorso e inserita qui per motivi di dimensioni.
L'infilata di sale sontuose che seguono accolgono le Annunciazioni. Due centri umbri registrano di più di altri l'influenza di Barocci: Perugia e Gubbio. A Perugia i suoi lavori creano scompiglio, come gettare un sasso in uno stagno. La Deposizione è in duomo, sotto gli occhi di tutti; invece le altre opere sono in collezioni private, forse non facilmente accessibili, ma ne circolano subito incisioni, secondo una precisa strategia commerciale (il duca di Urbino usava le opere di Barocci forse per compensare il suo ducato politicamente in declino, tanto che Filippo di Spagna lo implora per avere un'opera di Barocci). Gubbio faceva parte, all'epoca di Barocci e fino al secondo Ottocento, delle Marche, essendo territorio del ducato di Urbino.
L'Annunciazione di Ventura Mazza è molto interessante. Il pittore era uno dei seguaci più stretti e ortodossi di Barocci, tanto che probabilmente l'opera è stata iniziata dal Maestro nel 1610 ed interrotta perchè muore (1612), tanto da essere completata da Mazza, che vi apporta significative variazioni: ad esempio la finestra è baroccesca ma le case raffigurate sono quelle di Gubbio. Di fronte l'Annunciazione di Virgilio Nucci, che declina lo stesso tema in maniera più “postraffaellesca”, alla Giulio Romano per intenderci, diverso dal baroccismo: la pittura è meno intima, formalmente priva di trasporto affettuoso.
Quindi Ippolito Borghesi e Giovan Francesco Bassotti. Il primo inserisce nella sua Annunciazione una finestra tipicamente baroccesca ma senza dettagli di paesaggio; il secondo, artista controriformato e baroccesco, mette in primo piano il committente in abito aristocratico. In entrambi però le forme sembrano bloccate, anche per l'uso del tradizionale chiaroscuro (laddove Barocci impone una grande mobilità alle forme, che sembrano volare, gonfiate d'aria).
A seguire le Annunciazioni di Giulio Cesare Angeli per il duomo di Nocera Umbra e di Ferraù Fenzoni da Faenza, caratterizzata da una costruzione luministica e ridondante: l'intimità domestica quasi scompare, se non per la presenza di oggetti in primo piano (ma lo sguardo non è affettuoso). A chiudere questa sezione Giovan Battista Michelini, pittore folignate della metà del Seicento per una committenza eugubina, dove entrano elementi secondo il classicismo di Guido Reni.
Ultima sezione sulle miniature, al piano superiore. L'insegnamento di Barocci attecchì soprattutto nel prolifico settore delle miniature, una produzione ingente a Perugia tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento. Del maestro urbinate furono recepiti gli aspetti più sottilmente poetici e vivacemente descrittivi. Ad esempio nella Matricola (antiporta) del Collegio del Cambio sono barocceschi la tipologia dei volti e l'uso del colore. In quegli anni il Comune di Perugia impone un nuovo accatastamento per cambiare sistema fiscale: chi ha maggiori capacità economiche inserisce nella propria dichiarazione alcune pagine miniate. Molto belli i frontespizi dei catasti di San Francesco al prato e di Sant'Agostino, che esemplificano una competizione fra chiese, conventi, istituzioni e cives (splendido il frontespizio del catasto di Cesare Meniconi) per il catasto più ricco e costoso. Una pagina sciolta proviene dal catasto della cattedrale.
In particolare a me è piaciuto il frontespizio del catasto della Sapienza vecchia o Gregoriana, un capolavoro assoluto con la figura della Sapienza con il libro in una mano e la lucerna nell'altra, fra Mercurio e Minerva: il primo è l'intelligenza mobile e imperfetta (sormontato da una sfera allungata), la seconda è la dea della saggezza, l'intelligenza per antonomasia (sormontata da una sfera perfetta). Affianco la Matricola del Collegio del Cambio (antiporta), usata per un nuovo accettato nel Collegio, che era una delle due “arti grosse” del Comune di Perugia. Infatti il Collegio del Cambio e il Collegio della Mercanzia, in quanto arti maggiori, avevano entrambe un rappresentante fisso nel governo cittadino, mentre le arti minori ce ne avevano uno a turno. Nella Matricola c'è in alto un richiamo al Perugino (che aveva affrescato il Collegio), invece in basso le figure di Pace (a destra) e Giustizia (a sinistra): se ci sono pace e giustizia gli affari dei banchieri prosperano (inoltre il Collegio fungeva da tribunale per le dispute di natura contabile e fiscale). In fondo alla sala un emozionante olio con due figure femminili: una donna adulta che insegna il gesto della preghiera a una bambina.
La mostra si apre e si chiude con la Madonna della gatta, opera che va collocata nel 1605, anno in cui nasce Federico Ubaldo, erede di Francesco Maria II della Rovere. Quest'ultimo non aveva eredi e l'intenzione di devolvere il ducato allo Stato della Chiesa, ma i sudditi si ribellarono, per cui lui, cinquantenne, sposò la cugina Livia, quattordicenne, che tre anni dopo gli diede un figlio, nato nel giorno di Sant'Ubaldo, patrono di Gubbio. Quindi questo sarebbe il quadro celebrativo dinastico, a commemorare l'evento. È raffigurato un anziano San Giuseppe che mostra l'evento, la nascita del Bambino, un evento replicato e duplicato affettuosamente nella gatta che allatta il micetto. San Giuseppe con un gesto assai scenografico apre la tenda. Sullo sfondo c'è Urbino. San Giovanni guarda l'osservatore ma indica il cuginetto, già prefigurando il sacrificio: “ecce agnus dei” si legge nel cartiglio. L'opera è tarda, Barocci abbandona la tavolozza cangiante per accedere a una luminosità diversa.
Nel catalogo sono riportate tutte le opere in mostra con esaurienti schede e soprattutto un saggio di Francesco Mancini, curatore della mostra, esemplare per chiarezza e completezza.
Perugia, Palazzo Baldeschi al Corso, fino al 06 giugno 2010, aperta da martedì a domenica dalle 10 alle 19 (chiuso i lunedì), ingresso euro 5,00, catalogo Silvana Editoriale, infoline 199.151123, sito internet www.fondazionecrpg.it
FRANCESCO RAPACCIONI
Teatro