Seguendo la tradizione che vuole celebrato ogni anno un paese diverso, il tema conduttore del 47° Festival delle Nazioni si poneva come un dichiarato “Omaggio all’Armenia”, luogo mitico dell’Ebraismo prima e del Cristianesimo poi. Qui, al confine tra Oriente ed Occidente, la tradizione biblica vuole fosse collocato il Giardino dell’Eden; qui, sul Monte Ararat, sarebbe approdata l’Arca di Noè al termine del Diluvio Universale; qui, storicamente, nacque quasi duemila anni fa il primo nucleo di convertiti alla nuova religione di Gesù il Nazareno. Ma in questa bellissima terra si consumò pure, nel 1915, l’inaudito genocidio del suo antico e fiero popolo, deportato fuori dalla propria terra dalla feroce violenza ottomana. Una terribile, immane tragedia che provocò almeno un milione di morti, e l’inevitabile esodo di alcuni dei sopravvissuti in tanti paesi del mondo; una diaspora immensa – oggi gli armeni fuori dei confini nazionali sono sette milioni, a fronte dei tre che ancora vivono in patria - che ha prostrato ma non cancellato le basi dell’identità culturale armena.
«Senza emozione non c’è Memoria, senza memoria non c’è Giustizia, senza giustizia non c’è Civiltà, senza civiltà l’essere umano non ha futuro»: da quarant’anni Jordi Savall applica questa sua massima – le maiuscole sono sue - continuando a scavare, ricercare, studiare e riproporre i repertori musicali del passato, in un viaggio che va dagli albori della nostra civiltà musicale sino ai monumenti barocchi di J.S.Bach e di Händel. In questo suo lungo peregrinare ha fatto tappa anche in Armenia, realizzando tra l’altro anche un bel CD per la sua Alia Vox dove prende in considerazione melodie e versi della tradizione armena e che è stato riproposto anche in “Spirito d’Armenia”: così si intitolava il concerto che il suo spirito vagabondo e cosmopolita ha afferto al pubblico radunato nell’aula severa ed imponente della Chiesa di San Domenico a Città di Castello.
Altra, più tradizionale atmosfera per un secondo e più raccolto concerto, quello dell’Ensamble Barocco della Nuova Orchestra Scarlatti tenutosi nella Chiesa di San Michele a Citerna, a poca distanza da Città di Castello, sotto la imponente Crocifissione del Pomarancio. Qui le musiche eseguite provenivano tutte dal fondo archivistico dell’antico monastero partenopeo di San Gregorio Armeno, composizioni a volte appositamente commissionate per essere eseguite dalle monache stesse, le quali dovevano essere spesso di straordinaria bravura artistica.
Noa, la grande cantante israeliana di origini yemenite, ha ricordato ancora una volta, riferendosi anche alle tragedie dei popoli del Medio Oriente e della crisi israelo-palestinese, che per lei la musica resta sempre «un posto puro, in cui vive l'idea che possiamo coltivare un sogno». In questi quattro anni di riflessione e di pausa creativa, la cantante ha pian piano costruito con “Love medicine” un album di notevole spessore, arricchito dalle presenze di altri grandi artisti quali Pat Metheny e Gilberto Gil. E’ una raccolta quasi interamente fatta di composizioni proprie (tra cui le canzoni scritte per il musical "Karol Wojtyla - la vera storia" con la partecipazione del Solis String Quartet), con l’aggiunta di due cover: "Eternal Flame", fortunato pezzo delle Bangles, famoso complesso femminile anni '80; ed "Happy song", bellissima canzone di Bobby Mc Ferrin. Nella tournèe italiana che ha toccato anche Città di Castello, ospitato nella spaziosa navata della Chiesa di San Domenico stipata di gente sino all’inverosimile, la bravissima cantante israeliana ha voluto commentare e spiegare – esprimendosi in discreto italiano con l’aiuto di qualche appunto - il significato umano e morale della sua musica, che spesso parla di pace ed amore tra i popoli.