Teatro

FIGARO SUL TRENO

FIGARO SUL TRENO

Questa regia – spiega Damiano Michieletto - è un gioco di fantasia e di evocazione. Oggetti normali e semplici sono l’ingrediente unico della scenografia: una ventina di sedie rosse, una scala blu, degli ombrelli, alcuni enormi palloni. Seggiole disposte di volta in volta con geometrie diverse, per evocare lo spazio narrativo, sempre reinventato, oggetti che creano situazioni in un clima di grande leggerezza dove tutti i cambi sono realizzati a vista dai cantanti stessi. I costumi ridisegnano i personaggi in maniera anche caricaturale, giocando a proporre riferimenti coi tratti animaleschi. Ad esempio, Basilio sarà vicino ad un serpente, Figaro ad una volpe, Bartolo ad un cane. Anche nella recitazione ho chiesto agli interpreti gesti molto forti.

Il regista veneto parte da un’idea drammaturgica forte con la quale riempie uno spazio vuoto, astratto; porta i cantanti ad essere attori veri e credibili in palcoscenico. Questo Barbiere di Siviglia incomincia come un viaggio in treno, dove i passeggeri alla fine dell’ouverture diventano personaggi. L’inizio è come un gioco con il quale s’invitano gli spettatori ad usare l’immaginazione e così ognuno è catapultato in un mondo surreale: la ragione è il crescendo rossiniano, che racchiude la potenzialità di regalare ad una situazione normale i connotati dell’incontenibile follia. L'ouverture inizia con questo viaggio che sembra partire in modo normale, senza imprevisti, ma ad un certo punto il ritmo del treno comincia a crescere, crescere, crescere fino a prendere il volo: tutti i tranquilli passeggeri vengono catapultati involontariamente nell'opera diventando i protagonisti. Il leitmotiv del viaggio costituisce la cornice narrativa entro la quale respira il libretto dell'opera, animato da invenzioni sceniche che sfiorano una dimensione circense e dove tutto quello che avviene è sostenuto da una visione coreografica delle relazioni.
Pochissimi oggetti formano le nude scene: una ventina di sedie rosse, una scala blu, degli ombrelli e alcuni enormi palloni sono tutto quello che basta, grazie alla bravura scenica di tutti gli interpreti e alla bellezza dei costumi di Carla Teti, fantastici, di pura immaginazione, con marcati riferimenti a tratti animaleschi, quasi da Commedia dell’Arte. Alla fine dell’opera, con tanto di annuncio da stazione, sulla musica del finale i personaggi si risistemano sulle sedie, pronti a riprendere il loro viaggio nella dimensione quotidiana.

Questo titolo intramontabile dell’opera italiana, viene interamente affidato ai giovani formatisi nell’Accademia del Teatro alla Scala, già avviata con successo lo scorso anno con L’occasione fa il ladro, che riescono egregiamente ad affrontare il loro ruolo.
Nel Conte d’Almaviva il tenore Enrico Inviglia dimostra fin da subito una voce dal carattere tipicamente rossiniano; un ruolo che gli calza a pennello, e una voce che c’è, si impone e riesce nel suo intento; una maggiore maturazione produrrà certamente risultati ottimi. Brava la Rosina di Natalia Gavrilan, determinata e sicura contralto, dal timbro scuro che sa destreggiarsi egregiamente nelle arie, negli acuti e nelle note basse: Una voce poco fa viene accolta entusiasticamente, con merito. Filippo Polinelli è un Don Bartolo un po’ troppo evanescente: buona la recitazione, ma la sua voce viene coperta spesso dall’orchestra. Nei panni di Figaro un Christian Senn deciso e ironico, dal timbro caldo e dalla linea di canto precisa e sicura. Simon Lim in Don Bartolo ha voce potente anche se un po’ carente di armonici e timbro gradevole, oltre che pronuncia discreta e dizione scandita; impacciato per il costume serpentino. Discreta la Berta di Na Hyun Yeo. Più che sufficiente la prova di Davide Pelissero in Fiorello.

Alla guida dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro scaligero il maestro Francesco Angelico, direttore già affermato nella musica contemporanea, usa troppa energia in alcuni punti, ma in complesso una direzione che presenta piacevole pagine musicali. Il Coro dell’Accademia diretto dal maestro Alfonso Caiani è stato veramente eccezionale, nonostante cantasse dai palchi di proscenio e la sua presenza in scena, per scelta registica, veniva sostituita da abili mimi.

Finalmente un Teatro Valli esaurito, con pubblico giovane ed entusiasta, che ha gustato l’opera rossiniana tributando ai cantanti il meritato plauso: che sia l’inizio di una nuova era per il Teatro reggiano da pochi mesi guidato da Gabriele Vacis?