Per festeggiare il bicentenario verdiano il Maggio Musicale propone il Macbeth nella prima edizione del 1847, che proprio a Firenze debuttò al teatro della Pergola, dove ora ritorna dopo 166 anni in un nuovo allestimento firmato da Graham Vick.
Macbeth è la decima opera di Giuseppe Verdi ed è opera sperimentale che si distingue da ciò che precede (ma anche dalle opere immediatamente successive) in quanto esprime il primo tentativo di superare le convenzioni del melodramma romantico con una vocalità di grande rilievo drammatico e dove il tema amoroso viene sostituito da un obiettivo “astratto”, ovvero la smania di potere, che coglie individui normali trasformandoli in mostri. Le novità musicali, vocali e drammaturgiche sono già tutte presenti nell’edizione fiorentina che si differenzia da quella parigina per una maggiore focalizzazione intorno al personaggio di Macbeth, qui autentico protagonista, di cui ci viene mostrato tutto il percorso psicologico. Il finale nichilista della prima versione, in cui il protagonista esprime un “credo” intriso di cinismo e disillusione, è drammaticamente più forte e moderno rispetto al convenzionale tableau trionfante alla francese che chiude la versione di Parigi e da solo vale l’opera. Il ruolo della Lady, qui più “aiutante” che co-protagonista, è più spostato verso il belcanto, come rivela il brillante e virtuosistico “Trionfai! Securi al fine” del secondo atto che verrà sostituito da Verdi con “La luce langue” dalla tessitura più grave e di ben altra caratura psicologica. Se la parte delle streghe è già compiutamente definita, il coro degli oppressi del quarto atto risente ancora di un’impronta giovanile ed idealista e sarà completamente rimaneggiato nella versione di Parigi, dove, con combinazioni armoniche di grande presa emotiva, farà un bilancio amaro sul fallimento degli ideali risorgimentali.
A distanza di qualche anno Graham Vick si confronta di nuovo con Macbeth, ma, se nell’allestimento concepito per la Scala il grande cubo girevole risultava “invasivo” e limitante, qui, complice lo spazio intimo della Pergola, la regia segue da vicino i personaggi e la componente scenica appare a loro subordinata.
La scena di Stuart Nunn lascia a vista le pareti attrezzate del teatro e prevede una pedana bianca e un soffitto sospeso che talvolta s’illumina. Col progredire dell’azione scorrono degli elementi che compongono sulla scena degli ambienti moderni che esprimono un gusto da nuovi ricchi anni '80, in particolare la camera da letto dove si svolge buona parte dell’azione, che, delimitata da pareti di vetro-cemento, ruota funzionando da interno ed esterno.
In linea con la moderna interpretazione che vede il fantastico come un’incarnazione dei lati più oscuri della natura umana (pensiamo al Macbeth di Tcherniakov per Parigi dove le streghe erano la feroce opinione pubblica a cui era affidato il compito di proiettare i nostri desideri repressi), le streghe rappresentano per Vick il desiderio di trasgressione di Macbeth e sono rappresentate come tossicodipendenti alla deriva dagli occhi cerchiati e il trucco sfatto, che suscitano pulsioni e allucinazioni con droghe e movenze da prostitute borderline. Si apprezza il curatissimo movimento coreografico che Ron Howell ottiene dal coro, ma, se il concetto ci può stare, l’immagine reiterata non sempre funziona.
Buona l’idea di ambientare senza soluzione di continuità l’uccisione di Banco e il brindisi nella festa bordo piscina dove con un tocco noir vediamo i sicari incaricati di uccidere Banco vestirsi a vista da camerieri per preparare il ricevimento e accerchiare Banco che verrà ucciso e nascosto sotto un tavolo. Vick gioca con Hitchcock e con le nostre attese: ci aspetteremmo che Macbeth lo veda (d’altra parte sarebbe replicare l’intenzione di Verdi che voleva che il fantasma di Banco fosse interpretato dal cantante stesso) mentre invece è giustamente negli ospiti, uomini imperturbabili e molto british in abito grigio e donne cotonate vestite di lamé, che Macbeth vede i suoi fantasmi.
Oltre la recinzione del giardino di plastica con tanto di piscina e fenicotteri rosa si vede un manifesto di propaganda con l’immagine buonista di Macbeth, moglie e i bambini, che nello slogan “per la Scozia” sembra anticipare la scena toccante degli oppressi radunati alla stazione degli autobus di Birnam, dove avrà luogo la riscossa e le sedute di plastica verdi della squallida sala d’attesa divelte diverranno scudi e simboliche fronde.
Un merito della produzione è aver puntato su di un cast giovane.
Decisamente positiva la prova di Luca Salsi sia da un punto di vista vocale che interpretativo: un Macbeth istintivo e arrivista che non ci muove a pietà, capace di atti di violenza gratuita come quando spara alla dama dopo aver appreso della morte della Lady; il canto è sicuro, la voce morbida e ben emessa lascia ben sperare: sarà il tempo a affinare ulteriormente lo scavo e l’introspezione.
Avevamo già apprezzato la Lady di Tatiana Serian a Salisburgo per presenza scenica e controllo vocale; qui tratteggia una Lady giovane e quasi fragile, la dizione si è affinata ed il canto è sempre irreprensibile con acuti nitidi e luminosi dai bei suoni filati che le consentono di chiudere la scena del sonnambulismo in modo esemplare; la cantante risulta particolarmente a proprio agio nei pezzi di coloratura brillante del primo Verdi.
Marco Spotti è un Banco partecipe di voce scura e profonda, ma non sempre intonata.
Non convince pienamente il Macduff di Saimir Pirgu, il canto è corretto, ma poco empatico. Un po’ generico il Malcolm di Antonio Corianò. Concludono il cast la dama di Elena Borin e il medico di Gianluca Margheri. Nei ruoli minori ricordiamo Alessandro Calamai (un domestico), Carlo di Cristoforo (un sicario) e le tre apparizioni Giovanni Mazzei, Sara Sayad e Lorenzo Carrieri.
Perfettamente calibrata la direzione di James Conlon, sia nel rapporto buca-palcoscenico che nella gestione del suono in funzione dello spazio ridotto della Pergola. Nella lettura di Conlon a un discorso orchestrale quasi cameristico, volto a indagare le pieghe più recondite di una psiche turbata, seguono momenti (come il finale del primo atto) di deflagrazione sonora che, nel contrasto, diventano ancora più pregnanti ed emotivamente coinvolgenti. Esemplare l’esecuzione dell’orchestra, di assoluta eccellenza scenica e vocale la prova del coro.
Grande successo di pubblico per lo spettacolo e un plauso al Maggio per la scelta dell’edizione che nell’anno verdiano colma una grave lacuna e rende onore al genio di Busseto.