Teatro

“Frankenstein (a love story)”: il nuovo lavoro dei Motus in prima assoluta a Bologna

“Frankenstein (a love story)” di Motus
“Frankenstein (a love story)” di Motus © ph. Ilaria Depari

Debutta in prima assoluta a Bologna la nuova creazione dei Motus: “Frankenstein (a love story)”

“Frankenstein (a love story)”, il nuovo lavoro dei Motus, storica compagnia riminese fondata da Daniela Nicolò e Enrico Casagrande, debutta in prima assoluta all’Arena del Sole di Bologna, inaugurando la Stagione 23/24 del teatro bolognese.

Scritto dalla studiosa e attivista Ilenia Caleo, lo spettacolo che vede in scena l’attrice e performer Silvia Calderoni, l’attrice greca Alexa Sarantopoulou e Enrico Casagrande, si ispira alla struttura a scatole cinesi del libro di Mary Shelley e affronta il tema della mostruosità nel confine tra vivente e non vivente, composizione e decomposizione, carne e corpo artificiale. 

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

Enrico Casagrande e Daniela Nicolò (Motus)


Con questo progetto sull’immaginario travolgente di Mary Shelley i Motus si avvicinano ad uno dei personaggi più inquietanti della letteratura europea, emblema della diversità e del pregiudizio umano.

Attiva a livello internazionale, la compagnia fondata nel 1991 da Nicolò e Casagrande, e nata dalla necessità di confrontarsi con temi di attualità - fondendo scenicamente arte e impegno civile, fin dalle origini ha sempre lavorato sulle contraddizioni del nostro tempo. Motus unisce un approccio innovativo ad autori poco frequentati come Genet, Fassbinder, Koltès alla rilettura aggiornata di figure archetipiche del teatro classico, da Antigone a Fedra e ad una vocazione multimediale.

"Frankenstein": we need Monsters! 

“Frankenstein (a love story)” di Motus 


Nel 1818 la scrittrice Mary Shelley pubblica "Frankenstein o Il moderno Prometeo", romanzo gotico e fantascientifico che, con la figura della “progenie mostruosa” - ideata per prima dall’autrice, ha precorso le ramificazioni contemporanee nella filosofia postumana, sul confine pericoloso tra umano e artificiale.

L’ultimo lavoro dei Motus attinge proprio dal celebre romanzo di Mary Shelley e dalla tortuosa biografia dell’autrice: materiali che vengono contaminati con la contemporanea filosofia e con la drammaturgia originale della performer, attivista e ricercatrice indipendente Ilenia Caleo. 

“Frankenstein (a love story)” di Motus 


"Abbiamo bisogno di mostruosità, di toccarla, tenerla vicino": partendo da questo desiderio i Motus entrano nel Frankenstein di Mary Shelley, creazione prodigiosa di una scrittrice diciannovenne che sprigiona la potenza politica dell’immaginazione e la capacità – della scrittura, del teatro – di creare altri mondi

Affermano i registi: “Un progetto mostruoso composto dalla cucitura di diversi episodi e dal desiderio di ridare vita all’inanimato, galvanizzandolo, scomponendo e ricomponendone pezzi letterari. Uno spettacolo su Frankenstein che è esso stesso (un) Frankenstein […]  Al centro gli interrogativi della creatura senza nome e la sua percezione del mondo degli Altri, degli umani sempre più insensibili e crudeli verso le persone “non conformi”, sino alla lenta presa di coscienza del fatto che il non possedere né denaro, né amici, né proprietà di alcun genere la relegavano alla sfera degli esclusi, dei maledetti, dei senza nome, appunto”. 

“È sui confini che i mostri proliferano, tra i mondi”

“Frankenstein (a love story)” di Motus 


In una natura in tumulto, tre solitudini radicali si intrecciano - MS, Victor e la creatura, per governare l’orrore e l’angoscia e guardare negli occhi il non-umano: Motus esplora il territorio al confine fra ciò che è “normale” e ciò non che non è ritenuto tale; quel luogo liminale abitato da creature apparentemente incapaci di stare al mondo e che, tuttavia, a quello stesso mondo mostrano la strada per cambiare.

Questo progetto dei Motus, questa nuova creatura “mostruosa” ricuce insieme diversi episodi, un assemblaggio che “ridà vita all’inanimato, scomposto e ricomposto sul palcoscenico”.

Dichiarano i Motus: “È sui confini che i mostri proliferano. Tra i mondi. E qui, tra le cuciture suturate di carni e pelli diverse, questo lavoro prova a stare. Il mostro generato è “un infelice”, “a wretch”, come si dice di chi parte svantaggiato, di chi nasce non perfettamente equipaggiato per l’avventura del mondo: ma si ricordi bene che monstrum deriva da monēre, ammonire, e nel monito c’è sempre qualcosa di prodigioso…”

E, citando lo studioso Jack Halberstam, aggiungono: “abbiamo bisogno di mostri e abbiamo bisogno di riconoscere e celebrare le nostre stesse mostruosità”.