Scùossa, della compagnia siciliana Sutta Scupa, è una prova di quanto poco riescano a dire le noticine di regia sulle brochure del Fringe degli spettacoli che annunciano. Tutto potrebbe far immaginare una storia di mafia qualsiasi. Ma lo spettacolo è tutt'altra cosa.
Prodotto dalla compagnia siciliana Sutta Scupa, Scùossa è una prova di quanto poco riescano a dire le noticine di regia sulle brochure del Fringe degli spettacoli che annunciano. Che Ernesto Scossa faccia l'ammazzatore, che la sua vita sia condizionata dalle scelte di altri, la madre, il boss che lo assolda, Katia della quale si innamora e Mezzabirra che la uccide, tutto questo potrebbe far immaginare una storia di mafia qualsiasi. Ma lo spettacolo è tutt'altra cosa. Innanzi tutto non è il racconto di una storia, ma un'originale messa in scena dove prevale non la storia ma il modo di trasmetterla, anzi l'opacità che questa trasmissione getta sulla storia, fino a confonderla. Le immagini e le azioni spessissimo deviano il senso del testo secondo logiche tangenziali che solo a posteriori lo spettatore gli ricollega, e comunque mai secondo un criterio saldamente condiviso.
Accade così che molti personaggi siano interpretati da un'unica attrice in maniera spesso volutamente inespressiva, o che la stessa attrice, mentre interpreta Katia in mutande durante una passeggiata nel parco, mangi tranquilla patatine guardando l'attore-personaggio protagonista che, in costumino verde, si spende nel drammatico tentativo di salvarla da un sicario che ha avuto ordine di farla fuori. La valida interpretazione dei due attori, Gaspare Balsamo e Simona Malato, è marcata da diversi gradi di extraquotidianità: se lui resta ancorato a Ernesto, lei si trasforma ora nella madre che lo partorisce tra grida strazianti a inizio spettacolo, ora in quell'Angelo che patisce il primo mandato da killer di Scùossa, ora in tutti gli altri fantasmi, proiettati sulla scena dall'allucinata immaginazione di lui, destinato a morire il 6 giugno 2015, data della replica.
La loro lingua è pure molto diversa: l'italiano di tutti i personaggi satellite marca la distanza dalla lingua siciliana densa, sanguigna e terrosa, ma dolce, di Ernesto. Il testo è dello stesso regista Giuseppe Massa, frutto di un libero riadattamento da L'ammazzatore di Rosario Palazzolo. Un lavoro che alterna momenti di comicità grottesca e quasi assurda a momenti di originale filosofia, sulla natura del pensiero, della violenza, della natura.
L'impressione che lo spettacolo lascia all'uscita è quella di una ricerca teatrale più riuscita in certe scene che in altre, per qualità di esplorazione semiotica come per impatto emotivo sul pubblico. Bellissimo, su tutti, il monologo finale che tradotto recita "mamma estranea, nera, traditrice, mamma muco giallo, mamma morte, non azzardarti più a partorirmi!" Ridondanti, invece, forse, le scene dedicate agli amplessi, seppur divertenti.
Un'incostanza che risponde forse al criterio contemporaneo della non linearità narrativa e della frammentarietà drammaturgica, ma che sembra privare lo spettacolo di quella organicità che il tema meriterebbe e che gli artisti animatori del progetto, con un approfondimento del lavoro, sarebbero pure in grado di esprimere.