Tra i dieci autori scelti da Mario Fortunato per dare all’Attesa forme teatrali nel policromo panorama del Napoli Teatro Festival Italia 2010, Dacia Maraini è forse quella che più di tutti è a suo agio nella scrittura drammaturgica.
Autrice di numerose pièce che l’hanno vista sperimentarsi e primeggiare fin dagli esordi, nei sovversivi e sovvertitori anni sessanta fonda insieme ad un nugolo di colleghi scrittori del calibro di Gadda, Moravia, Wilcock, Siciliano e Parise, il Teatro del Porcospino: in quello spazio magato e singolare si rappresentano unicamente novità italiane.
Risalgono alla seconda metà degli anni 60 alcuni dei suoi testi teatrali più noti, spesso ancora oggi alla ribalta: "Maria Stuarda", vero successo internazionale, tradotto e rappresentato in ventuno paesi, “Dialogo di una prostituta con un suo cliente", "Stravaganza", fino a giungere ai cronologicamente più vicini "Veronica, meretrice e scrittora" e "Camille". La sua produzione drammaturgica ha conquistato i palcoscenici internazionali, da Bruxelles, a Parigi, a Londra, numerosi sono i paesi che vedono le scene dominate dai drammi della scrittrice italiana più nota e forse più tradotta al mondo.
La Maraini, che continua a dedicarsi con passione al teatro, “il miglior luogo per informare il pubblico riguardo a specifici problemi sociali e politici”, regala alla kermesse partenopea uno dei testi che sorprenderà gli spettatori nei luoghi di attesa, una “drammaturgia dell’intuizione, del frammento, dell’attimo!”, come li definisce il direttore artistico del Napoli Teatro Festival, Renato Quaglia.
Protagonista una creatura notturna dal nome altisonante… che per un bellissimo travestito può essere anche lecitamente eccessivo: Gloria.
Così in orari misteriosamente e volutamente imprecisati, Lia Pastore, Susanna Poole, Francesco Testa del “Maniphesta teatro”, diretti da Giorgia Palombi, daranno corpo e voce al testo della Maraini, intrecciando, nella Linea 1 della Metropolitana, tra le stazioni di Museo e Piazza Dante, le vite di ignari (… ma anche consapevoli) spettatori con l’attesa notturna di Gloria… Un’attesa che è mancanza… speranza disperata… che si ammanta di neri ricordi o di tenere memorie.
Del testo, del rapporto che lega Dacia Maraini al teatro e a Napoli, abbiamo parlato con l’autrice.
Nel suo cospicuo e articolato percorso di narratrice, il teatro è tra le prime e più longeve esperienze, amore mai tradito, arco teso e vibrante che continua a scoccare frecce argute e seducenti. Qual è il suo rapporto con il teatro?
Ho sempre amato il teatro. Quando ero in collegio a Firenze, e avevo 10 anni, facevo il teatro con le mie compagne. E' una passione che mi è costata molte fatiche e molte mortificazioni, ma alla fine mi ha anche dato molte gioie.
Incontra il sud nella fanciullezza, rimane in Sicilia fino all’adolescenza, avrà quindi un forte legame con il sud. Qual è il suo rapporto con Napoli e con la "napoletanitudine"?
Ho tanti amici napoletani. La "napoletanitudine", come dice lei, nel suo meglio, dà talento, genialità, intelligenza, allegria. Ma c'è anche una napoletanità oscura e cupa, insofferente di ogni regola e portata alla rassegnazione di fronte alla legge del più forte. Sono sempre qui a sperare che l'una vinca sull'altra.
Napoli, città in atavica, oserei dire eterna "attesa"; qual è secondo lei il senso dell'attesa nel panorama partenopeo?
Certamente Napoli ha imparato dalla storia ad aspettare, ma spesso ad aspettare il peggio. Da qui la sua rassegnazione e il suo umorismo nero. C'è chi però si rimbocca le maniche e decide di mettersi in gioco. Io tifo per quelli.
Nella sua pièce il personaggio che fa vivere l’attesa è un bellissimo travestito, una vita ai margini, di quelle che spesso campeggiano nei suoi affreschi di parole. Com’è stato il suo “incontro” con Gloria? Perché ha scelto proprio lei per raccontare l’attesa?
Gloria è parte della nostra realtà cittadina. Dobbiamo farci i conti. Ma con rispetto e capacità di ascolto. Mentre tanti, troppi sono ansiosi di tapparle la bocca e giudicarla in base a pregiudizi e schemi prefissati. Mettendola in scena volevo creare una buona disposizione per l'ascolto. Gloria è coraggiosa, solo il coraggio può trattenerla dalla disperazione in cui vivono le persone che vogliono cambiare sesso. Io ammiro il suo coraggio e vorrei comunicare a chi assiste alla rappresentazione la mia simpatia per questo uomo-donna.
Ma come si traducono, per Dacia, le emozioni ed il senso dell'"attesa"?
L'attesa può essere una cosa buona e bella. Sviluppa le nostre capacità di metamorfosi. L'attesa ci cambia. E spesso in meglio. Perchè ci apre all'altro, al futuro, all'inatteso. Può diventare crudele in certe circostanze. Ma penso sia comunque una pratica coraggiosa, che mette in moto le nostre capacità di immaginazione.