Nata a Genova da genitori sardi, vive a Cagliari e insegna italiano e storia all’istituto tecnico “Meucci”. Il suo primo romanzo, “Mentre dorme il pescecane” (Nottetempo, 2005) ha avuto due ristampe in pochi mesi, ma è stato “Mal di pietre” il libro che l'ha definitivamente rivelata riscuotendo grande successo anche all’estero (tradotto in cinque lingue, è in testa alle classifiche in Francia). Con questo romanzo vince il Premio Forte Village (2007), è segnalata fra i finalisti del Premio Strega e si aggiudica il secondo posto nel Campiello. A febbraio del 2008 ha visto la luce “Ali di babbo”. “La contessa di ricotta” è il suo ultimo romanzo(2009) edito sempre da Nottetempo.
Per “L’Attesa” del Napoli Teatro Festival Italia ha scritto “La settimana prossima”.
La intervistiamo per l’occasione.
- In “Perché scrivere” lei asserisce: “Scrivere è la tana che mi porto sempre dietro”. Lampante è dunque la sua devozione per la scrittura, che prescinde dai successi ottenuti negli ultimi anni. Come ha vissuto la sua ascesa? Mi riferisco alle centomila copie vendute per “Mal di pietre”.
Sono contenta però il successo non è una di quelle cose che hanno su di me un grandissimo effetto; forse mi ha fatto un effetto più grande, mi ha dato una emozione maggiore quando ho pubblicato il primo libro “Mentre dorme il pescecane”. Non avevo pubblicato nulla, e quella era una cosa che mi ha emozionato molto, perché mi dava l’impressione che qualcuno - che se ne intende - apprezzasse quello che io facevo. Ciò mi ha emozionato molto. Poi il successo alla fine è una cosa fatta di numeri no? Non me ne sono accorta. Ecco. Non ha cambiato niente nella mia vita, forse non volevo che cambiasse niente.
- La fabula e l’intreccio: due scritture diverse. Il romanzo veicola in modo completamente differente dall’opera teatrale. La lettura è intima e introspettiva nel primo caso, corale e di forte condivisione nel secondo. In quale forma preferisce esprimersi?
Nella forma del romanzo. Questa volta ho provato così, e fra l’altro era la prima volta che scrivevo una cosa del genere: avevo l’impressione che non fosse uscita una cosa buona.
- L’attesa è un progetto prodotto dal Napoli Teatro Festival Italia, in cui il cittadino - spettatore è totalmente ignaro di ciò che sta per accadere. Come giudica questa iniziativa e come crede reagirà il pubblico che casualmente assisterà alla rappresentazione de “La settimana prossima”, la pièce di cui è l’autrice?
Io penso che l’idea sia molto affascinante; piacerebbe anche a me, che mi succedesse, in un posto dove non me lo aspetto, nel quotidiano, questa sorta di intrusione della realtà nella fantasia e della fantasia nella realtà. Quindi è un’intrusione affascinante perché, per esempio, nella nostra mente questo avviene se siamo in fila alle poste o in un qualunque posto dove siamo costretti ad aspettare, è chiaro che il tempo lo usiamo fantasticando, pensando a delle cose, immaginando delle cose, e in questo caso invece l’immaginazione diventa tangibile quindi molto affascinante. Una bellissima idea!
- Le lancio una provocazione: la protagonista de “La settimana prossima” si rivolge alla zingara dicendo “ Se tu non fossi una zingara e quindi non fosse certo, come per tutti gli zingari, che rubate e siete bugiardi, adesso ti farei entrare e sedere al tavolo di cucina e ti preparerei un caffè”. Subito dopo però si scusa e le accorda fiducia. Tuttavia il finale è dubbio ma non lascia sperare in nulla di buono. Dunque, in genere, è sempre meglio non fidarsi?
Ho voluto che rimanesse un dubbio: il nostro pregiudizio è valido oppure si ha il solo effetto di essere valido perché gli altri si comportano secondo il nostro pregiudizio? La zingara nel finale va via forse perché si è offesa. Potrebbe anche essere la stessa zingara frodata da qualcuno che l’ha presa in giro. Una sorta di umiliazione farla aspettare per niente. C’è un punto interrogativo: la zingara in realtà non aspettava nessuno, voleva qualche occasione per rubare o era la zingara quella frodata? Che poi è il punto interrogativo della nostra società: ci frodano o frodiamo noi. Forse tutte e due le cose.