Teatro

Gli strani abbracci tra Cechov e Daniel Veronese

Gli strani abbracci tra Cechov e Daniel Veronese

Arriva una positiva ventata di freschezza teatrale al Napoli Teatro Festival Italia con lo spettacolo argentino andato in scena al Teatro Nuovo, dal titolo “Los hijos se han dormido”, per la regia di Daniel Veronese, che ha tratto la sua messa in scena da “Il gabbiano” di Anton Cechov. Si tratta  certamente di una conferma delle notevoli potenzialità sceniche della recente drammaturgia argentina e di un modo originale di riproporre, o riscrivere, un classico come quello del grande drammaturgo russo. Veronese ha mostrato davvero interessanti capacità nella gestione di un numeroso gruppo di attori, nell’articolazione di una complessa scrittura scenica e nel creare un fertile contatto tra un testo di un secolo fa ed il pubblico del nostro tempo.

Tutta la scena si svolge in un unico ambiente, un interno borghese verde pallido con due porte ed una finestra, nel quale sedie, tavoli, divani, oggetti di scena e personaggi sono costantemente illuminati da una luce fissa, forte e senza alcuna sfumatura cromatica. All’interno di questa scena si sviluppa la storia dell’opera cechoviana. Molto interessante è la modalità relazionale che Veronese ha immaginato per tutti i personaggi, tra i quali si confondono i “maggiori” con quelli “minori”: alle quasi immobili e pensose anime in pena del testo russo subentrano personaggi dinamici, urlanti, fisicamente inquieti, sempre pronti a rincorrersi, a scambiare sguardi molto diretti, in fuga o alla ricerca di qualcosa, capaci di entrare ed uscire di scena ripetutamente e con grande foga drammatica. Il lirismo del drammaturgo russo sembra essere attraversato da un dinamismo spasmodico ed incessante. Nello svilupparsi della vicenda, che non devia molto dal testo russo, questi eroi moderni sembrano trovare momenti di pace, forse apparente, o almeno di un parziale quiete, negli strani abbracci che si scambiano. Abbracci dalle strane posizioni, abbracci non ricambiati, abbracci improvvisi e spiazzanti: dimostrazioni di un affetto cercato nell’altro e non sempre trovato, che restituiscono una forma energetica di lirismo ad una vicenda estremamente dinamica e tuttavia rinchiusa in un unico ambiente.
Molto interessante anche la costruzione temporale che Veronese ha sviluppato, concentrando il tempo nello spazio, eliminando pause e transizioni, per elaborare una continuità drammaturgica con una valida compattezza nella quali i personaggi vivono un eterno presente scenico, che sembra inglobare il recente passato e l’immediato futuro. Si tratta di uno spettacolo che, nonostante la complessa macchina teatrale messa in scena, restituisce con grande facilità e leggerezza una vicinanza e capacità informale di coinvolgimento degli spettatori. Lo strano abbraccio di cui si è parlato in precedenza si può dire che arrivi ad avvolgere infine lo stesso pubblico, non solo per la presenza conviviale degli attori sul palco durante l’ingresso in sala degli spettatori, ma soprattutto per un drammatico finale repentino ed (in)atteso, che ha visto gli attori in un frazione di secondo, subito dopo il buio e poi la luce, riapparire velocemente in avanscena per gli applausi, quasi a volere dinamicamente rimandare gli ultimi esiti della vicenda, appena estinti, sugli sguardi ancora pensosi e sorpresi degli spettatori.