Teatro

GRANDE SUCCESSO PER SHEN WEI AL SAN CARLO

GRANDE SUCCESSO PER SHEN WEI AL SAN CARLO

Shen Wei (classe 1968) è un personaggio a dir poco eclettico, capace di ricoprire di volta in volta - e spesso contemporaneamente - il ruolo di coreografo, regista, pittore, visual artist. Il suo nome è diventato famoso anche presso il grande pubblico a partire dal 2008, quando gli è stata affidata l’ideazione della grandiosa cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino. Il Teatro di San Carlo ha compiuto dunque una scelta impegnativa (ed encomiabile) commissionandogli uno spettacolo del tutto nuovo, “Carmina burana”, che in questi giorni viene presentato a Napoli in prima assoluta.
Il punto di partenza della creazione di Shen Wei è costituito dalla partitura di Carl Orff, parcamente arricchita con interpolazioni circoscritte e coerenti. Com’è noto, la fortunatissima pagina del compositore tedesco, presentata al pubblico nel 1937, è basata su liriche del XII secolo tramandate da un manoscritto compilato nel monastero di Benediktbeuren (Baviera); in quel codice alcuni testi sono accompagnati dalle prescrizioni musicali originarie, dalle quali Orff decise però di prescindere completamente («Sapevo bene - egli ebbe a dichiarare - che diverse poesie [...] erano contrassegnate da neumi [...]. Ma non avevo né intenzione né modo di condurre gli studi approfonditi sul significato di questo antico sistema di notazione e preferii non prenderla affatto in considerazione»). Per la creazione destinata al San Carlo il maestro spagnolo Jordi Bernàcer, che ha anche diretto l’orchestra del teatro con sicurezza ed eleganza, è stato incaricato da Wei di ‘arrangiare’ con un semplice accompagnamento di strumenti moderni quattro melodie provenienti dalla fonte bavarese (“Iste mundus furibundus”, “Michi confer venditor”, “Curritur ad vocem” e “Veris dulcis in tempore”), che fungono da micro-prologhi ‘primitivi’ a ciascuno dei quattro pannelli principali.
L’impatto visivo della performance è straordinario. Proiezioni e trasparenze, specchi e velari dischiudono dimensioni oniriche di grande bellezza, nelle quali il colore e la luce diventano eloquenti vettori di poesia. Il coro resta sempre in primo piano, come un muro umano rivolto verso gli spettatori, subito al di sotto della piattaforma che accoglie i danzatori e i cantanti (il baritono Valdis Jansons, potente e ieratico; il soprano Angela Nisi, che sfoggia timbro cristallino e sicurezza negli acuti; il controtenore Ilham Nazarov, efficacissimo nella parte ironica e grottesca del cigno). Ma il vero protagonista dello spettacolo è il movimento. La danza di Shen Wei è priva di qualunque connotazione accademica. È, piuttosto, un moto fluido, naturale, animato da un’energia costante che diventa quasi palpabile nel gioco prezioso delle azioni e delle reazioni. L’impulso cinetico, che ha la sua cellula minima nella rotazione spiraliforme, si trasmette per contagio nei contatti lievi e negli intrecci garbati. Scevre dal descrittivismo calligrafico, le coreografie di Wei rivelano l’essenza comune che apparenta il ritmo musicale al respiro, la curva della melodia alla flessione delle membra, la variazione delle dinamiche sonore alla mutevole potenza del gesto. In molti momenti sembra davvero di ‘vedere’ la musica sospingere i corpi come fosse un vento o un’onda. Con grazia mai leziosa, i danzatori giungono quasi alle soglie del volo, ma senza sforzo ostentato, bensì come se riscoprissero un dono innato e dimenticato che attendeva solo di essere dissepolto.
Uno stile di danza così particolare richiede un training specifico, e difatti la preparazione dello spettacolo creato per il San Carlo ha incluso una sorta di ‘stage’ articolato in due momenti successivi, durante i quali alcuni danzatori appartenenti alla compagnia del coreografo cinese (la “Shen Wei Dance Arts”, con sede a New York) sono venuti a Napoli per ‘addestrare’ i membri del corpo di ballo del teatro. I quaranta interpreti che agiscono sul palco, pertanto, sono in parte ospiti (sette) e in parte residenti (trentatré). L’esecuzione appare tuttavia perfettamente omogenea e trasporta lo spettatore in una dimensione ‘altra’ rispetto alla realtà fisica e alle coordinate percettive consuete. Lo sguardo viene condotto a esplorare luoghi mitici popolati da epifanie misteriose e imperturbabili, che con processioni lente scandiscono il flusso di un tempo sacro. I simboli e le evocazioni si intrecciano fittamente fino allo splendido quadro finale, nel quale le presenze numinose vengono esibite in una scarnificata iconostasi anatomica.