Teatro

Idiot Savant e l'esplorazione del rapporto padre-figlio

Idiot Savant e l'esplorazione del rapporto padre-figlio

Filippo Renda e Mauro Lamantia esplorano il rapporto padre-figlio abbandonando Edipo (e Freud) e concentrandosi su Ulisse e Telemaco. Dialogo serrato e non senza colpi di scena in un ufficio pubblico, per ottenere un ricongiungimento finale.

Il complesso di Telemaco inizia nella sala di attesa di un tipico ufficio statale italiano: una piantina rinsecchita in un angolo, le voci metalliche che chiamano il numero, tre vecchie sedie dove siede un uomo impaziente e annoiato dall’attesa. Irrompe nel silenzio e nella quiete del locale un giovane ragazzo, impaziente quanto il primo ma più nervoso, porta un sacco della spazzatura sulle spalle nel quale cerca prima una bottiglietta con del succo “stupefacente” e poi una pistola, che punta senza molti preamboli all’uomo in attesa. Così si apre Il complesso di Telemaco, testo scritto da Mauro Lamantia e Filippo Renda, che cura anche la regia. E’ un inizio senza troppi preamboli che prelude uno svolgimento a ritmo serrato e non senza colpi di scena: il giovane ragazzo (interpretato da Mauro Lamantia) sta cercando un uomo, più precisamente suo padre che non vede da dieci anni e di cui ha solo un ritratto, mentre l’uomo in attesa (interpretato da Simone Tangolo) aspetta il suo turno per avere finalmente accesso al sussidio di invalidità dopo un iter burocatico durato dieci anni. Il primo vuole coinvolgere il secondo nella sua ricerca disperata, il secondo vuole solo aspettare il suo turno; per entrambi i dieci anni di attesa sembrano minacciati, chi per una mancanza di collaborazione, chi per un coinvolgimento inaspettato. I colpi di scena non mancano e gli attori dimostrano di sapere chiaroscurare in modo netto e preciso il cambiamento di atteggiamenti dei due personaggi: il ragazzo passerà dall’essere folle e energico all’acquisire l’incredula meraviglia tipica del bambino, mentre l’uomo in attesa abbandonerà il suo atteggiamento spaventato e preoccupato per diventare burbero e monolitico, come i padri.

Il testo esplora con sapienza e originalità non più il tema del conflitto padre e figlio (tema più edipico), ma quello della ricerca e dell’ammirazione che padre e figlio sviluppano l’un per l’altro, e delle difficoltà che essi possono incontrare per creare una relazione costruttiva e serena. Ma i moderni Ulisse e Telemaco devono fare i conti con una Penelope castratrice: infatti la madre del ragazzo, andato via il padre, decide di fermare tutto (orologi compresi), di mettersi a letto e non muoversi più, vietando al figlio di uscire di casa e costringendolo all’isolamento più totale. Il figlio così sviluppa un rapporto ambiguo con la madre, a volte di affetto e pietà, a volte di odio e paura, e idealizza il padre come un eroe, l’unico che può risolvere il problema che lo attanaglia, cioè quello di riparare le tubature del bagno, dalle quali escono fetori e liquami ormai insopportabili. Il padre è la chiave: “tu hai costruito il bagno, tu sei l’unico che può sistemarlo” gli dice.

Lo spettacolo inoltre non manca di citazioni di film cult degli anni ‘90, unico contatto con l’esterno del ragazzo, e di una scansione degli avvenimenti decisamente incalzante, che strapperà, oltre a delle riflessioni, anche molte risate.