Teatro

Il Brecht di Lino Guanciale apre la stagione dell’Arena del Sole

Lino Guanciale e Renata Lackó
Lino Guanciale e Renata Lackó © Paolo De Chellis

L'Arena del Sole inaugura la sua nuova Stagione 2020/21 con “Dialoghi di profughi" di Bertolt Brecht, interpretato da Lino Guanciale e la musicista Renata Lackó.

La nuova stagione del Teatro Arena del Sole si apre il 6 ottobre con Dialoghi di profughi (Info e Date) di Bertolt Brecht, interpretato da Lino Guanciale con gli arrangiamenti e musiche dal vivo della violinista Renata Lackó. 

Nato in forma di reading per Rai Radio, Dialoghi di profughi è andato in onda per la prima volta lo scorso 15 giugno, in occasione della riapertura dei teatri dopo i mesi di lockdown: un evento speciale che ora ERT ha deciso di riprendere, proponendolo in versione teatrale in prima assoluta a Bologna, perché come sottolinea il direttore di ERT Claudio Longhi: “è uno spettacolo che ha un significato speciale e rappresenta una sorta di transizione tra un mondo e un altro ancora da venire”.

"Dialoghi di profughi": un vero testo della crisi

Dalla vasta produzione del drammaturgo tedesco, Lino Guanciale ha scelto uno dei testi brechtiani meno frequentati: lo spettacolo è un'amara e divertente riflessione su potere e populismo, scritto negli anni Quaranta, durante il periodo finlandese del suo esilio.

Lino Guanciale


In quegli anni Brecht attraversa probabilmente la fase più alta e autentica della propria vocazione di poeta e drammaturgo politico, in cui scrive alcune delle sue opere più conosciute, come Terrore e miseria del Terzo Reich, Madre Coraggio e i suoi figli, Vita di Galileo, La resistibile ascesa di Arturo Ui, Il cerchio di gesso del Caucaso, testi in cui la lotta contro le forze disumane della Storia si fa più cruda ed efficace.

Dialoghi di profughi, terminato nel 1940 in esilio e in uno dei periodi più bui del secolo scorso, è un ritratto dello sradicamento come topos esistenziale, un omaggio alla marginalità come matrice di elevazione filosofica e politica. In questo testo Brecht, memore della propria esperienza dell’esilio, fotografa con grande lucidità, il rapporto fra discontinuità esistenziale e necessità della metamorfosi, individuando nel soggetto strappato al proprio sistema di abitudini e sicurezze, il propulsore ideale del cambiamento politico e culturale.

Scrive Lino Guanciale: "Un vero testo della crisi, un vero testo generato da uno stato d’emergenza. Una rappresentazione vivida della balìa cui sono soggette le illusioni di stabilità della civiltà occidentale, soprattutto quando esse servono, coscientemente o meno, a nascondere sotto il tappeto le miserie e le fragilità di un mondo abituato a disprezzare la dialettica come strumento di rigenerazione della democrazia".

Lino Guanciale

Emigrazione come scuola di dialettica, teatro come valore d'uso!

Sul palco, le parole di Brecht dialogano con una ricca partitura musicale a cura della violinista Renata Lackó, che attinge dal repertorio classico della musica colta europea, da quello più brechtiano, ma anche tra le sonorità “erranti” della tradizione Yiddish, “a significare acusticamente il complesso paesaggio esistenziale e culturale dell’incontro fra i due personaggi”.

Protagonisti del dialogo evocato dal titolo sono le voci di due figure lontane, due profughi tedeschi ideologicamente assai distanti: uno scienziato alto-borghese e un operaio comunista, identificati con un ironico compendio della lotta di classe “Quello alto” e “Quello basso”, che di fronte alla storia e alla condizione dell’esilio non possono che ritrovarsi vicini, accomunati da una condizione che lascia in secondo piano il conflitto sociale.

I due protagonisti si incontrano la prima volta in una stazione, simbolo della sorte erratica di entrambi, e ingaggiano un confronto sul rapporto tra l’uomo e il proprio passaporto.

Un confronto che si svilupperà nel corso di tutta l’opera - toccando le più varie questioni etiche, estetiche e sociali, dando vita a un esempio brillante di dialettica, proprio com’era nelle intenzioni di Brecht secondo il quale “l’emigrazione è la miglior scuola di dialettica. I profughi sono dialettici più perspicaci. Sono profughi in seguito a dei cambiamenti, e il loro unico oggetto di studio è il cambiamento. Essi sono in grado di dedurre i grandi eventi dai minimi accenni, […] e hanno occhi acutissimi per le contraddizioni. Viva la dialettica!” 

Specifica infine Guanciale:"[…] Questo fa del testo un luogo in cui di fatto il teatro viene praticato come strumento di rigenerazione, come spazio di mutamento e maturazione attraverso l’incontro, come luogo dell’amplificazione decisiva del potere rivoluzionario dell’ascolto. Fattori che ne rendono non tanto l’attualità al tempo dell’attuale pandemia, quanto la forza strategica e l’autorevolezza. Il teatro non come eredità o ispirazione, non come nostalgia. Ma come valore d’uso. Per tutti”.
 

Arena del Sole di Bolgona: gli spettacoli della stagione 20/21

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