Fino al 22 maggio, all'Elfo Puccini di Milano, di nuovo in scena il celebre allestimento cechoviano diretto da Ferdinando Bruni, con il cast quasi totalmente invariato rispetto alla messinscena del 2006. Dall'archivio di Teatro.it, vi proponiamo una breve intervista con Ferdinando Bruni in occasione del debutto marchigiano dello spettacolo dieci anni fa.
Un’enorme tenuta in rovina, un frutteto che, una volta all’anno, nel mese di maggio, si copre di fiori bianchi e diventa “giardino”, simbolo di rimpianti, sogni e speranze: è il ciclo delle stagioni che si compie ogni anno. A contemplare questo “miracolo” per l’ultima volta”, riuniti nella grande casa della loro infanzia, i personaggi della pièce non fanno altro che scorgere, ognuno nell’altro, i segni del tempo che passa (scandito dal costante ticchettio di un orologio d’epoca), sentendo prossima la resa dei conti con il proprio destino.
Il giardino dei ciliegi , di Anton Cechov, torna in scena al Teatro dell’Elfo di Milano, con quasi tutti gli interpreti che hanno portato al successo l’allestimento originale del 2006; in primo luogo, un intensa e a tratti straziante Ida Marinelli nel ruolo protagonista, insieme con Elio de Capitani (suo fratello Gaev). In questa nuova edizione il personaggio di Lopachin è affidato al convincente Federico Vanni. Alla compagnia si unisce anche Marco Vergani, nel ruolo di Trofimov, “eterno studente”, dalle idee intrise di utopia, che nutre tanta speranza nel mondo quanto poca fiducia nell’amore.
La regia di Ferdinando Bruni punta sulla coralità, ma è anche in grado di far emergere la rarefatta e disperata maturità delle singole personalità dei dodici personaggi in scena. Nel nostro archivio abbiamo trovato un’intervista con il regista, realizzata dieci anni fa, in occasione delle rappresentazioni "di rodaggio" marchigiane dell’edizione originale dello spettacolo. Ve la riproponiamo:
Intervista a cura di Francesco Rapaccioni (marzo 2006)
Ritorno a Cechov, a partire dalle Marche…
Sì, torniamo ad incontrare Cechov dopo più di vent’anni, dopo aver fatto un lungo lavoro su un suo testo, poi in realtà rielaborato in una nostra drammaturgia; per molti anni abbiamo avuto la tentazione di metterlo in scena e adesso finalmente siamo arrivati a questo Giardino dei ciliegi, anche perché c’era la compagnia giusta per farlo che come al solito è lo stimolo migliore per mettere in scena un testo.
Qual è il carattere principale del vostro allestimento?
Abbiamo cercato di riportare Cechov alle sue radici realistiche e allontanarlo dalla visione lirica che è stata tipica degli allestimenti degli ultimi quarant’anni, dopo la messinscena di Strehler, perché pensiamo che sia un autore che parla attraverso la realtà, quindi è importante fare un lavoro sul realismo, che sia un po’ diverso da quelli fatti finora, dal nostro modo solito di essere in scena.
Che cosa vedremo allora in scena?
La vera “protagonista” è la famosa camera dei bambini in cui si svolge il primo atto, che sarà in realtà cornice di tutto l’allestimento, perché è un luogo fortemente simbolico. I personaggi tornano a riunirsi in questa vecchia casa dopo anni che non si vedono più, una famiglia aristocratica che attende piuttosto inerme la fine della propria vicenda e la vendita di questo giardino che per lei è il simbolo dell’unità della famiglia e anche del tempo che passa. È un grande testo sulle generazioni che si succedono e anche sul passare della storia. È il racconto della fine di un’epoca e di una società.
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