La partita giocata dalla compagnia di Sciaccaluga è a dir poco avvincente. Il gioco degli scacchi diventa qui metafora della vita, i personaggi diventano pedine di un giocatore più abile e infine, vinti o vincitori si viene tutti riposti nella scatola, ma “dopo la morte c’è sempre la resurrezione”.
“Il gioco dei re” il testo di Luca Viganò racconta la storia, certo romanzata, del legame che univa i due i più grandi giocatori di scacchi di tutti i tempi: Josè Raoul Capablanca, detto Capa, e Alexander Alexandrovich Alekhine, due geni, due amici, due avversari, che alla fine, o all’inizio , si ricongiungeranno per giocare di nuovo la partita dei re.
Il gioco degli scacchi è fondamentalmente una guerra tra strateghi che puntano reciprocamente alla mente del proprio avversario. Questa tensione è stata resa in modo particolarmente chiaro dal regista , lo spazio scenico diventa, talvolta, spazio della mente che viene materialmente invaso dall’avversario. Molto suggestiva nella messa in scena è, così, la resa spazio temporale: salti, ritorni, sovrapposizione di piani temporali o spaziali, interferenze, danno l’impressione che questi personaggi, come fantasmi, siano ritornati indietro nel tempo, li con noi, per studiare insieme la partita della vita, per cercare di comprendere dov’è che hanno sbagliato la loro mossa. Emblematica è infatti la frase di Goethe posta ad hoc sul sipario “ Quanti dolori, ahimè, potremmo evitare nella nostra vita se solo potessimo ritirare le mosse sbagliate e giocare di nuovo”. Ma questo non è possibile anzi, sembra che anche Dio, il vecchio, Massimo Mesciulam, quasi sempre presente sulla scena con la sua piccola scacchiera, ingaggiando una partita con il caso, non conosca tutte le mosse adatte, e commetta degli errori a cui non può riparare.
La compagnia composta da Aldo Ottobrino (Alekhine), Antonio Zavatteri ( Capa), Fabrizio Careddu, Alice Arcuri, Alberto Giusta e Cristiano Dessì nonostante, purtroppo, le iniziali difficoltà per l’inevitabile perdita di concentrazione dovuta all’increscioso trambusto venutosi a creare in sala verso la seconda scena, sono riusciti quasi subito a recuperare, portando lo spettacolo, con successo alla sua riuscita. La recitazione è stata un mix tra brechtiano mostrarsi e immedesimazione stanislavskiana. Quelli resi non sono stati caratteri, né soggettività, ma qualcosa in più, si è andati oltre l’individuo, oltre le relazioni tra personaggi: la sfida del gioco teatrale è stata giocata a livello allegorico e vinta da tutti.
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