Al Festival di Santarcangelo il coinvolgimento della comunità ancora una volta conferisce senso e premia con la grande partecipazione del pubblico.
La novità, la sperimentazione, l'audacia di un progetto coerente, di continua esplorazione e di sguardo curioso sul mondo della performance scenica nei cinque continenti: è questa la filosofia che a Santarcangelo riesce a dare buoni frutti.
Poco incline alle scelte comode e alla pigrizia che negli ultimi tempi connota i calendari di alcune importanti rassegne italiane (eppure 'rassegna' non viene da 'rassegnazione'), il Festival di Santarcangelo – per la seconda volta sotto la direzione di Eva Nyklaeva e Lisa Gilardino – non tradisce la sua durevole vocazione e concentra la sua proposta sulla ricerca e sull'innovazione. Una scelta ben premiata dal pubblico: la quarantottesima edizione del Festival – che si è svolta nella cittadina romagnola e nei suoi dintorni dal 6 al 15 luglio – ha registrato oltre 11.000 biglietti venduti nei 123 spettacoli a pagamento, e 12.000 spettatori ai 77 eventi gratuiti che quest'anno erano in calendario.
Varietà e qualità
Lavori selezionati per la qualità e la ricchezza delle forme e dei linguaggi, sguardi molteplici, sensibilità e temi che cercano di cogliere frammenti espressivi del presente. Fra le messe in scena menzioniamo, solo per dare un'idea della varietà, la performance Multitud, della coreografa uruguaiana Tamara Cubas, indagine in chiave coreutica sullo spazio abitato dall'essere umano, realizzata con quaranta persone scelte sul territorio: un lavoro che verosimilmente cambia colore e spirito in ogni luogo in cui viene rappresentato, animandosi della sensibilità dei suoi peculiari e irripetibili interpreti.
Sembra pure che qualche polemica sia stata sollevata per l'esposizione dei corpi nudi degli attori avvenuta sulla pubblica piazza; un effetto collaterale che in un certo senso acuisce il senso politico di questo lavoro. Citiamo ancora il Be careful di Mallika Taneja, artista di Nuova Delhi che ha proposto un'ironica riflessione sulle contraddizioni della cultura indiana, dove l'avvertimento «sta' attenta» che si offre alle ragazze sottende un'implicita prospettiva maschilista; o ancora il lavoro della performer italiana Anna Rispoli, Your words in my mouth, dove il pubblico era invitato ad interpretare con la propria voce alcune confessioni autentiche sull'intimo tema dell'amore.
Il senso di comunità
Il Festival dialoga col territorio anche attraverso l'invito a creare performance inscritte nei suoi luoghi e nei suoi spazi; ecco allora la coreografa norvegese Ingri Fiksdal, che ha portato gli spettatori in un bosco al tramonto con Night tripper o su una spiaggia di Rimini con Diorama for Santarcangelo; o Cristina Kristal Rizzo che ha rappresentato il suo Ikea in due parchi cittadini.
E poi un'iniziativa un po' satirica e un po' politica: i Crypto Rituals pagati dal pubblico con la “criptomoneta” SantaCoin, una valuta virtuale basata sul codice riportato su un talismano, che consentiva di ottenere prestazioni artigianali sul corpo, dai massaggi alle acconciature.
Insomma, il Festival di Santarcangelo riesce ad attivare quel senso di comunità così necessario a una dimensione vivente del teatro e della performance, interrogando gli spettatori e i cittadini del nostro tempo non solo sui temi evocati dalle opere, ma sul significato stesso di teatro, di comunità, di agire collettivo, di funzione politica dell'arte. Una testimonianza preziosa, forse un modello da tener presente come antidoto a quelle rassegne di stanca autocelebrazione che pure fioriscono in giro per il nostro Paese.