Il festival Artigiano di Erba osa rileggendo i grandi classici con modernità e ironia
Quando ci si misura con i grandi classici del teatro e, in special modo, con testi che hanno conosciuto nell’arco del tempo innumerevoli sceneggiature e riscritture differenti, l’impresa di non scontentare le inevitabilmente alte aspettative dei lettori di Shakespeare, si manifesta in tutta la sua difficoltà.
Eppure, Sogno di una notte di mezza estate, diretto da Simone Severgnini, è riuscito nell’offerta di una delicata opera d’intrattenimento, gaia e lena. Coadiuvato da una location assai suggestiva. Lo spettacolo ha aperto al teatro Licinium di Erba la stagione estiva curata da “Il Giardino delle Ore”. Si chiama “Artigiano”, festival dei Fabbricanti d’arte.
Il bosco come scenografia
La performance s’inserisce perfettamente all’interno della seconda edizione di un festival che, come principio di base, s’ispira a una concezione più dinamica e meno convenzionale dell’arte teatrale, volta a riavvicinare gli spettatori al territorio. Invero, lo spettacolo shakespeariano trova luogo nella cornice un po’ bucolica e molto ariosa del teatro all’aperto, dove agli spettatori è inviato il tacito appello a un ascolto più immersivo e partecipe del consueto. Le fronde degli alberi e la nuda pietra delle colonne sono anch’esse parte armoniosa dello spettacolo; ne rappresentano una scenografia tanto semplice quanto evocativa. L’espediente di far cambiare di posto gli spettatori, nel corso della rappresentazione, mobilita l’attenzione consentendo di seguire anche fisicamente il percorso degli attori in scena, che s’addentrano man mano nel mondo notturno delle fantasie, delle burle, degli scorni e delle promesse tra gli amanti.
“E proprio un bimbo vien chiamato Amore, tanto spesso nella scelta s’inganna”
Se la prima scena può lasciare di stucco e quasi contrariati, nel vedere Demetrio (Marino Iatomasi/Marco Spreafico) vestire in jeans ed Elena (Silvia Busti Ceccarelli/Alessandra Mornata) entrare con le cuffie nelle orecchie (come un’adolescente che non vuole ascoltare, tutta dentro a un mondo solo suo di fantasie, che la realtà non deve sporcare), il disorientamento scema fin da subito, prima disciolto e poi conquistato dalla simpatia coinvolgente d’una maniera leggera di fare ironia, rimaneggiando e riattualizzando, a tratti, il testo originale; con rispetto. Il tema dell’amore, naturalmente, resta sempre quello principale.
Che sia deluso, canzonato, oltraggiato, rinnegato, Eros è il fulcro che smuove, con spinte centrifughe, tutti i personaggi in scena. Molti spettatori in questa commedia brillante, ora grottesca, ora surreale, ritrovano la mutevolezza degli umori, degli slanci, delle passioni amorose, finanche delle più intense. Perché ci vide giusto Shakespeare, quando scrisse che “la ragione e l’amore vanno di rado insieme, al giorno d’oggi”.